Mancato utilizzo delle cinture di sicurezza (Cassazione civile, sez. III, 31/10/2023, n.30315).
Negato il risarcimento per il decesso del passeggero a causa del mancato utilizzo delle cinture di sicurezza.
Il congiunto della vittima citava innanzi al Tribunale di Padova, il conducente del veicolo e il suo assicuratore per la RCA onde ottenere il risarcimento dei danni jure proprio subiti per la perdita del rapporto parentale.
Il Tribunale rigettava la domanda e osservava “pur essendo il verificarsi del fatto lesivo attribuibile al conducente del veicolo, la cui improvvida manovra di attraversamento a raso comportava l’insorgere della situazione di rischio che dava poi causa alla collisione, deve affermarsi che, a mente dell’art. 1227 c.c., comma 2, non compete al trasportato alcun risarcimento, giacché il susseguente evento mortale avrebbe potuto essere evitato con altissime percentuali di probabilità laddove la vittima primaria avesse regolarmente allacciato le cinture di sicurezza”.
Successivamente la Corte d’Appello rigetta il gravame evidenziando:
– “che l’uso della cintura di sicurezza da parte del deceduto avrebbe evitato la lesione mortale ; è pure vero che il Tribunale applica dell’art. 1227 c.c., comma 2… ma subito dopo afferma una cosa ben diversa, escludendo direttamente il nesso causale”;
– “la grave negligenza consistita nel non allacciare la cintura di sicurezza ha contribuito in misura determinante a provocare l’evento mortale”;
– “secondo i rilievi degli agenti intervenuti sui luoghi, il veicolo su cui era trasportata la vittima aveva segnale di stop; il consulente del P.M. ha evidenziato che lo stesso, dopo essersi fermato poco oltre la linea, ripartiva senza avvedersi del sopraggiungere da destra dell’autovettura investitrice ad una velocità di ca. 72 km/h, oltre dunque il limite consentito di 70 km/h; il conducente non aveva verificato che il trasportato avesse allacciato le cinture di sicurezza;
– “ne deriva che i due conducenti hanno due addebiti ciascuno pertanto, si ritiene di interpretare la fattispecie concreta nel senso che ciascuno dei tre soggetti coinvolti (di cui uno è il deceduto), abbia dato pari contributo causale, 33% ciascuno, secondo la prassi dell’ufficio che addebita per mancato utilizzo della cintura di sicurezza il 33%”.
La decisione viene impugnata in Cassazione.
Il ricorrente deduce vizio di motivazione per avere la Corte d’appello da un lato rigettato la richiesta di valorizzazione del rapporto affettivo poiché ritenuta assorbita dall’efficacia determinante del mancato uso della cintura di sicurezza, dall’altro affermato che la vittima aveva contribuito solo per il 33% al verificarsi dell’evento.
Le doglianze sono fondate.
La motivazione della sentenza risulta affidata alla affermazione “l’atto di appello si risolve in una serie di rilievi ipotetici i quali secondo l’interpretazione della Corte non sono idonei a modificare la conclusione sull’esclusione del nesso di causa, sino al punto di rovesciare l’effettiva dinamica del fatto individuando il nesso nella imprudente condotta di guida del conducente (che superava lo stop senza concedere la precedenza al veicolo investitore), nella negligenza del medesimo per non aver imposto alla vittima di indossare le cinture di sicurezza, nell’imprudente condotta di guida della conducente del veicolo Citroen investitore, e infine nel “violento urto contro la portiera e il montante posteriore destro dell’auto e il successivo impatto contro il palo della luce”.
Ebbene, il nucleo di tale motivazione è rappresentato dalla valutazione di inidoneità dei rilievi dell’appellante a modificare la conclusione del primo Giudice circa l’esclusiva efficacia causale della condotta della vittima (per non aver allacciato la cintura di sicurezza). Però tale valutazione di inidoneità è apodittica al punto da risultare al disotto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6. Infatti non viene offerta alcuna spiegazione del perché la negligenza della vittima, per il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, ha contribuito in misura determinante a provocare l’evento mortale.
L’aver contribuito all’evento “in maniera determinante”, non significa “in maniera esclusiva”.
Oltre a ciò la Corte di Appello ha compiuto anche un errore aritmetico: considerando che l’efficacia concorrente delle tre condotte colpose è pari per ciascuna di esse ad una percentuale del 33%, all’attore viene riconosciuto solo un terzo del risarcimento. Se alla condotta della vittima andava ascritta una efficacia causale pari ad un terzo, ciò significa che agli altri protagonisti del tragico occorso andava ascritta una efficacia causale nel totale pari a due terzi e che dunque il risarcimento spettante andava commisurato a tale ultima maggiore frazione (due terzi, non un terzo) del risarcimento in astratto nell’intero liquidabile.
La sentenza viene cassata con rinvio in diversa composizione.
Avv. Emanuela Foligno
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