Confermata la responsabilità della parte datoriale nella causazione dell’infortunio, non essendo stata posta in essere alcuna vigilanza in merito alle modalità concrete di attuazione della generica disposizione impartita

E’ principio indiscusso che il datore di lavoro sia sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, se non nei limiti in cui questa assuma i caratteri dell’abnormità ed esorbitanza, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento.

Lo ha ribadito la Cassazione con la ordinanza n. 21633/2020 pronunciandosi sul ricorso di un’azienda condannata in sede di merito al pagamento di Euro 147.373,48 in favore di un dipendente, a titolo di risarcimento del danno per infortunio sul lavoro.

La Corte territoriale, nel ricostruire l’episodio, aveva osservato come il datore di lavoro ed il lavoratore si trovassero all’interno di un capannone; il primo, dopo aver ordinato al secondo di “mettere in ordine il capannone” si allontanava; il lavoratore, assunto il giorno prima, procedendo alla pulizia – con acqua, mazzetta e scalpello – di una pompa per la miscela dell’acqua con il cemento, si infortunava perché la mano sinistra rimaneva incastrata all’interno del macchinario in movimento.

Il Collegio distrettuale aveva affermato, quindi, la responsabilità della parte datoriale nella causazione dell’infortunio giudicando, da un lato, che le disposizioni impartite dalla società al dipendente non consentissero in alcun modo l’individuazione del contenuto dell’ordine e comunque delle modalità esecutive dell’attività affidata al lavoratore e, dall’altro, che il datore di lavoro non avesse posto in essere alcuna vigilanza in merito alle modalità concrete di attuazione della generica disposizione impartita, allontanandosi immediatamente, nonostante il rapporto si fosse instaurato solo il giorno precedente.

Il Giudice di secondo grado aveva osservato, altresì, come neppure fosse stata dimostrata l’adozione dì misure idonee a preservare l’integrità psico-fisica del lavoratore in quanto la pompa in uso al dipendente era dotata di una copertura di protezione degli organi meccanici la cui rimozione (durante la pulitura) non interrompeva l’azione degli organi meccanici (causa dell’accertato infortunio).

Inoltre, aveva escluso che fosse configurabile un comportamento abnorme del lavoratore.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte il rappresentante legale dell’azienda deduceva l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti, costituiti dalla mancata considerazione che la pompa fosse spenta e non collegata ad alcuna presa elettrica e che l’infortunio fosse stato causato dal collegamento e avvio della predetta pompa nonché dal fatto che il lavoratore fosse un operaio qualificato; detti elementi, a detta della parte ricorrente, se considerati, avrebbero comportato un giudizio di “abnormità” del comportamento assunto dal lavoratore. La parte ricorrente, inoltre, eccepiva che il lavoratore non avesse assolto l’onere probatorio circa la dinamica dell’infortunio e la responsabilità del datore di lavoro.

I Giudici Ermellini hanno ritenuto inammissibili le doglianze proposte; le censure, infatti, essendo inidonee “a scalfire il giudizio di riferibilità del comportamento del lavoratore al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute (diversamente detto: di non abnormità)”, non incrinavano l’affermazione di responsabilità datoriale, fondata sulla principale argomentazione di violazione dell’obbligo di vigilanza imposto al datore di lavoro.

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