Il Gip del Tribunale di Torino, ha assolto tre medici imputati per colpa omissiva poiché dall’imputazione non era stato possibile risalire alla regola cautelare violata nell’esercizio della loro professione

La vicenda

Con richiesta di rinvio a giudizio formulata dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino, tre medici tutti operanti presso la stessa casa di cura erano stati tratti a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 590 sexies c.p.
All’udienza preliminare fissata davanti al Gip del Tribunale di Torino, il Pubblico ministero insisteva per il rinvio a giudizio dei sanitari, mentre la difesa chiedeva l’emissione di sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 425 c.p.p..
Ebbene, tale istanza è stata accolta perché fondata e meritevole di accoglimento.

La natura e le funzioni proprie dell’udienza preliminare

Come sostenuto da tutte le più recenti sentenze della Corte di cassazione, l’udienza preliminare svolge una funzione di “filtro”. Essa rappresenta una “garanzia” e non una forma ridondante, perciò è stata esclusa solo nei processi per reati minori (prima individuati sulla scorta della competenza della “Corte bassa” rappresentata dalla Pretura, ora in base fondamentalmente ai limiti edittali); e la funzione primaria di garanzia dell’imputato è proprio quella di prevenirne la sottoposizione all’esercizio della azione penale senza condizioni sostanziali a giustificarlo” (cfr. Corte di cassazione, sent. n. 33763 del 30/04/2015).
Con il prevedere al primo comma dell’art. 425 c.p.p. il proscioglimento dell’imputato nel caso in cui sussista una causa che estingue il reato o per la quale l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, “se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commosso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa”, il legislatore stesso pare attribuire al giudice dell’udienza preliminare il potere di valutare nel merito la fondatezza della tesi accusatoria.
Tale tema è stato approfondito dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 33763 del 30/04/2015, che, dopo aver tratteggiato l’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto, ha concluso affermando il principio secondo cui “il giudice della udienza preliminare è chiamato ad una valutazione di effettiva consistenza del materiale probatorio a fondamento della accusa a carico dell’imputato, essendo tale condizione minima necessaria a giustificare la sottoposizione al processo”.
Ebbene, nel caso in esame, per il Gip del Tribunale di Torino mancava la prova dell’elemento soggettivo necessario ad integrare il reato ascritto agli imputati; da ciò, la pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 425 comma 1 c.p.p. perché il fatto non costituisce reato.

I tre imputati rispondevano di colpa omissiva schematicamente riguardante:

1. scorretta valutazione di idoneità della struttura in cui era stata ricoverata la persona offesa a fornirle le dovute cure, in relazione alle sue condizioni di deterioramento cognitivo;
2. omissione di cautele terapeutiche/farmacologiche e di vigilanza/controllo della persona offesa.
A ben vedere, le condotte contestate nel capo d’imputazione erano state descritte in maniera estremamente generica e nient’affatto circostanziata.
«Tale scelta, che comunque non integrava i formali requisiti disposti dall’art. 417 c..p.p. per la richiesta di rinvio a giudizio, ed in particolare di quanto disposto dalla lett. b) del predetto articolo (“l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge”) a detta del giudice adito, risultava,« piuttosto, la conseguenza più evidente ed immediata di una consulenza tecnica di parte eccessivamente superficiale e non approfondita».
In altre parole, né il pubblico ministero, né il consulente da questi nominato, avevano indicato quali condotte, diverse da quelle tenute in concreto, gli agenti avrebbero dovuto serbare al fine di tutelare la persona offesa ed impedire il verificarsi dell’evento, per come in concreto realizzatosi.
Non era, in altre parole, determinata, né comunque determinabile, quale regola cautelare gli imputati, nelle loro rispettive vesti, avrebbero violato; ciò aveva logicamente impedito di ravvisare nelle loro condotte, asseritamente omissive, la sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie penale loro ascritto.

Il proscioglimento

Come ripetutamente sostenuto dalla Corte di cassazione, da ultimo con la sentenza n. 32216 del 20/06/2018, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante. È dunque centrale accertare, in primo luogo, la sussistenza della violazione di una regola cautelare generica o specifica.
Ad ogni buon conto, per il giudice torinese, anche a prescindere dalle valutazioni in ordine all’omessa specificazione delle regole cautelari presumibilmente violare, emergeva con riferimento alla posizione di tutti gli imputati, la totale assenza di profili di colpa.
Per tali motivi è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato.

La redazione giuridica

 
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