Particolare e impeccabile pronunzia della terza Sezione della Cassazione Civile, presieduta dal Dott. Travaglino, relativa a un medico esente da colpa

La vicenda approda in Cassazione dalla Corte di Appello di Ancona e riguarda il danno patito da un uomo a causa di un intervento chirurgico di asportazione della milza e di riduzione di una frattura delle ossa del bacino. Dopo l‘esecuzione degli interventi chirurgici il paziente viene trasferito in una struttura privata ove vi rimase per cinque giorni.

Durante tale degenza il paziente viene colpito da trombosi venosa profonda e quindi trasferito d’urgenza in una struttura pubblica.

L’uomo chiama in causa la Clinica privata e due Medici della stessa chiedendo la condanna in solido al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della trombosi.

In sostanza l’uomo critica la condotta dei due Medici per errata somministrazione della dose di eparina e per mancato tempestivo riscontro dell’insorgenza della trombosi venosa profonda ritardando di fatto per 4 giorni l’inizio di idonea terapia.

Il Tribunale di Ancona accoglie la domanda dell’uomo riconoscendo errata interpretazione da parte dei Medici del quadro clinico del paziente e colposa riduzione della posologia del farmaco a base di eparina, in quanto se fosse stata somministrata eparina in dose adeguata probabilmente la trombosi venosa non si sarebbe verificata.

La decisione viene impugnata in Corte d’Appello che svolge articolate considerazioni.

Innanzitutto viene evidenziata l’assenza del nesso di causa fra ciascuna delle due condotte colpose ascritte ai Medici e il danno.

Per quanto concerne, invece, la somministrazione di dosi insufficienti di eparina la Corte esclude la colpa dei Medici in quanto tra il rischio emorragico elevato e il rischio trombotico la decisione della posologia di eparina costituiva un giusto compromesso fra i due rischi.

La Corte territoriale evidenzia inoltre che la somministrazione di eparina non elimina totalmente il rischio di trombosi e che nel caso concreto non era possibile stabilire se la predetta trombosi fosse una conseguenza del sinistro stradale (e quindi si fosse verificata già prima del ricovero presso la struttura privata), oppure se fosse insorta nei 5 giorni di degenza, anche in considerazione del fatto che in alcuni casi la trombosi venosa profonda è conseguenza di una trombosi già preesistente.

In sostanza, secondo la Corte territoriale la trombosi venosa profonda è una complicanza del politrauma da sinistro stradale subito dall’uomo e quindi non attribuibile alla responsabilità della Clinica privata. Veniva dunque escluso sia il nesso di causa, sia la colpa.

L’uomo impugna la pronunzia della Corte d’Appello in Cassazione la quale rigetta 7 dei 9 motivi di impugnazione e accoglie l’ottavo e il nono rinviando la causa alla Corte territoriale in diversa composizione.

Sulla posologia della dose di eparina somministrata al paziente i Supremi Giudici ritengono idoneo quanto deciso dalla Corte di Ancona.

In particolare, la Corte ha condiviso una delle due perizie svolte in sede penale la quale concludeva che la dose di eparina somministrata al paziente fu adeguata tenuto conto della necessità da un lato di evitare emorragie (possibili dopo l’intervento di splenectomia), e dall’altro di prevenire la formazione di trombosi poiché una dose troppo elevata di eparina avrebbe prevenuto il rischio di trombi, ma aumentato quello di emorragia, mentre una dose troppo ridotta avrebbe provocato l’effetto inverso.

Col terzo motivo di ricorso il paziente lamenta che i Medici della Clinica, dimezzando la dose di eparina, non si siano attenuti alle linee guida.

Gli Ermellini evidenziano che il discostamento dalle linee-guida non è un fatto decisivo.

Significativamente affermano che le linee-guida non rappresentano “un letto di Procuste insuperabile”, ma sono un parametro di valutazione della condotta del Medico. Ma una condotta difforme dalle linee guida può comunque essere ritenuta diligente se esistono particolari necessità che impongono di non osservare i protocolli.

Egualmente, anche una condotta conforme alle linee guida potrebbe essere ritenuta colposa sempre avuto riguardo alla particolarità del caso.

Quindi la sola circostanza che il Giudice abbia ritenuto non colposa la condotta del Medico che non si è attenuto alle linee guida non è sufficiente per decidere sulla colpa del Medico.

Al riguardo, peraltro, la Core d’Appello argomenta esaustivamente che nel caso specifico l’allontanamento dalle linee guida era giustificato dall’intervento chirurgico cui l’uomo era stato sottoposto, dal programma fisioterapico cui lo stesso doveva sottoporsi e dall’asportazione della milza.

Col settimo motivo di impugnazione il paziente lamenta l’inversione delle regole sull’onere della prova sostenendo che ove rimanga incerto il nesso di causa tra la condotta del Medico e il danno patito dal paziente, quella stessa incertezza non può ricadere sul danneggiato.

La Suprema Corte ribadisce che nel nostro ordinamento non esiste una norma che solleva l’attore dall’onere di provare il nesso di causa.

Al riguardo richiama precedenti che hanno ormai cristallizzato il principio secondo cui “nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del più probabile che non, causa del danno, sicchè, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata”.

A questo proposito preme evidenziare, anche per completezza espositiva, che sempre la Terza Sezione, con pronuncia del 3 ottobre 2018- quindi precedente di pochissimi giorni quella qui oggetto di commento- -che trattava un caso di responsabilità di un Medico Anestesista- è stato affermato l’esatto contrario, ovvero che “il danneggiato dalla condotta di un Medico ha l’onere di dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del Medico e il danno che ha subito, in altri termini deve dimostrare con qualsiasi mezzo di prova che il comportamento del Medico è stato la causa del danno. Solo nei casi in cui vi sia incertezza la prova del nesso causale non può ricadere sul danneggiato”.

Con l’ottavo e il nono motivo il paziente lamenta che la sentenza della Corte territoriale impugnata escludendo il nesso di causa tra la ritardata diagnosi della trombosi e l’aggravamento del danno in conseguenza di essa, si fonda su una motivazione illogica.

La Corte d’Appello ha escluso il nesso tra la ritardata diagnosi della trombosi e l’aggravamento del danno argomentando l’impossibilità di stabilire se il trombo si fosse formato prima o dopo il ricovero alla Clinica privata. Ma anche se il trombo si fosse formato prima del ricovero presso la Clinica privata, ciò non esonerava i Medici dal controllare le condizioni del paziente.

Ed ancora col nono motivo il danneggiato evidenzia che dal parere dei C.T.U. era emerso che solo nel 20% dei casi di politraumatizzati la trombosi venosa è imprevedibile e inevitabile. La Corte escludendo, quindi, che una tempestiva diagnosi avrebbe attenuato i postumi permanenti, ha negato efficacia causativa del danno all’omissione di una condotta che invece nell’80% dei casi avrebbe avuto efficacia salutare, se non salvifica.

Questi due motivi vengono ritenuti fondati dagli Ermellini.

I Supremi Giudici evidenziano che la Corte d’Appello doveva semplicemente chiarire cosa sarebbe accaduto se la trombosi venosa profonda fosse stata diagnostica quattro giorni prima, anziché quattro giorni dopo. Ciò non è accaduto poiché i Giudici di Ancona sono stati illogici nell’esprimere le motivazioni della decisione.

La Corte doveva comparare la tempestività dell’intervento e il grado di ingravescenza del male per potere affermare l’inutilità di tempestive cure, invece si è limitata ad affermare che l’impossibilità di individuazione del momento e della sede di insorgenza del trombo rendevano impossibile stabilire se una cura più pronta avrebbe prodotto postumi meno gravi.

La Corte doveva stabilire se eventuali possibilità di successo erano maggiori o minori rispetto alla possibilità che una tempestiva cura riuscisse infruttuosa, invece negava che una più tempestiva cura avrebbe potuto avere serie e apprezzabili possibilità di successo.

Rilevata la contraddittorietà sul punto gli Ermellini evidenziano che non si comprende se la corte abbia applicato il rigoroso criterio penalistico (serie e apprezzabili probabilità), oppure il corretto criterio civilistico (più probabile che non).

Rigettati tutti i motivi di ricorso, accolti l’ottavo e il nono. Causa rinviata alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

 

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