Accolto il ricorso degli eredi di un militare morto in un incidente stradale mentre raggiungeva la sede di una manifestazione sportiva di forze armate

Con la sentenza n. 6312/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dai familiari di un marinaio militare morto in un incidente stradale mentre viaggiava per raggiungere la sede di una manifestazione sportiva di forze armate a bordo di un pullman precipitato in un viadotto, che si erano visti respingere in sede di merito la domanda volta ad ottenere i benefici assistenziali ex DPR 243 del 2006 e legge 266 del 2005 e l’assegno vitalizio di cui all’articolo 5 della legge 206 del 2004.

La Corte d’appello, in particolare, premesso che i benefici richiesti sono previsti per infermità o decesso correlato a “missioni di qualunque natura” e riconosciute dipendenti da causa di servizio per le “particolari condizioni ambientali e operative”, aveva ritenuto che tali fossero “le operazioni eccedenti limiti dell’alea correlata ai normali obblighi di servizio e che lo spostamento del militare da un luogo ad altro per lo svolgimento di attività ordinarie non fosse tale”.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte i ricorrenti eccepivano che la sentenza impugnata avesse subordinato la tutela in relazione alla pericolosità ab inizio dell’attività di servizio, sebbene ciò non fosse richiesto dalla normativa.

Gli Ermellini hanno ritenuto la doglianza meritevole di accoglimento.

La controversia in questione – hanno evidenziato dal palazzaccio – verteva sull’interpretazione del comma 564 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, secondo cui: “Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.

La Cassazione ha ribadito i criteri applicativi della norma chiarendo che: “La legge 23 dicembre 2005, n. 266, all’art. 1, comma 563, stabilisce che per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, art. 3 e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità”.

Al successivo comma 564 dell’articolo 1 si precisa poi che “sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.

Quindi, i Giudici di Piazza Cavour hanno ricordato che “in attuazione di quanto stabilito dalla stessa legge n. 266 del 2005, art. 1, comma 565, è stato emesso, con d.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, il regolamento concernente i termini e le modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, che all’art. 1, comma 1, definisce, agli effetti del regolamento: a) per benefici e provvidenze, le misure di sostegno e tutela previste dalle L. 13 agosto 1980, n. 466, L. 20 ottobre 1990, n. 302, L. 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e L. 3 agosto 2004, n. 206; b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente; c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

Sulla base di tale quadro normativo, dunque, la Suprema Corte ha ritenuto erronea l’interpretazione della Corte territoriale cassando la pronuncia di secondo grado e rinviandola al Giudice a quo per una nuova valutazione.

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