Seguire insistentemente la persona offesa, o il suo veicolo, in modo da interferire nella propria sfera di libertà e arrecarle fastidio o turbamento, integra il reato di molestie

La condanna per molestie

La Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva ridotto la pena comminata all’imputata ad un mese di arresto, riqualificando il fatto di reato originariamente contestato (atti persecutori) in quello meno grave di molestie. 

Era emerso che la donna avesse ripetutamente molestato la vittima, in ragione della relazione sentimentale extraconiugale da quest’ultima allacciata con suo marito; e che, a tale scopo, l’avesse pedinata e le avesse inviato SMS ingiuriosi e minacciosi, per un certo periodo di tempo. Tuttavia, secondo lo stesso giudice, difettava un effettivo nesso causale tra tale condotta e la pretesa alterazione delle abitudini di vita della vittima, evento che avrebbe integrato il reato più grave di stalking. Il tentativo di suicidio, posto in essere da quest’ultima era, infatti, dovuto non alle molestie subite, ma alla decisione dell’amante di riprendere la convivenza coniugale. La vicenda è giunta così in Cassazione.

Il ricorso per Cassazione

Con il primo motivo, la difesa aveva denunciato il vizio della motivazione. A detta della ricorrente la Corte territoriale non aveva dato adeguato peso alle incertezze e contraddizioni del narrato della vittima, in particolare quanto all’esatta collocazione nel tempo dei pretesi pedinamenti, mentre l’invio degli SMS sarebbe stato smentito dai tabulati telefonici. Dunque, in assenza degli SMS, i pretesi pedinamenti, non interferenti con l’altrui vita privata, avrebbero difettato del requisito della petulanza, facendo venire meno, così l’elemento oggettivo del reato.

Con il terzo motivo, la difesa aveva dedotto infine, la violazione dell’art. 131-bis c.p. e il vizio della motivazione in ordine alla ritenuta esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Ma la Corte di Cassazione (Prima Sezione Penale, n. 11198/2020) ha rigettato il ricorso perché manifestamente infondato.

Il reato di molestia o disturbo alle persone, incriminato dall’art. 660 c.p., – hanno chiarito gli Ermellini – può essere integrato anche da una condotta consistente nel seguire insistentemente la persona offesa, o il suo veicolo (Sez. 1, n. 18117 del 11/02/2014), in modo da interferire nella sfera di libertà di lei e da arrecarle fastidio o turbamento. Quest’ultimo, del resto, non va confuso con più gravi situazioni, materiali o morali, quali lo stato di ansia o paura, il timore per l’incolumità propria o altrui e l’alterazione delle abitudini di vita, che sono gli eventi che, disgiuntamente (Sez. 5, n. 36139 del 04/04/2019), integrano il più grave reato di atti persecutori ex art. 612-bis c.p..

La condotta, necessaria e sufficiente alla consumazione del reato meno grave, quale quello ex art. 660 c.p., ossia, gli insistiti pedinamenti, per un ambito temporale ristretto rispetto all’imputazione ma comunque significativo, e il loro carattere invadente e infastidente – era ineccepibilmente emerso dalla sentenza impugnata, che sul punto aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra richiamati.

La decisione

Parimenti è stata ritenuta corretta la valutazione circa il diniego di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., logicamente compiuta, attraverso il richiamo all’insistenza e durata delle molestie, e al danno morale arrecato.

Avv. Sabrina Caporale

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