L’incremento del 50% del risarcimento del danno biologico non è sufficiente a ristorare la vittima di molestie sessuali e stupro sul posto di lavoro; il giudice deve liquidare anche il danno morale, quale lesione intima, interiore, componente indefettibile del danno non patrimoniale

La vicenda

La Corte d’appello di Genova aveva aumentato da 69.110,00 euro a 97.185,00 euro l’importo riconosciuto, a titolo di risarcimento del danno, ad una lavoratrice per le molestie sessuali e lo stupro subiti sul posto di lavoro.

In particolare, il giudice di secondo grado aveva confermato sul punto la decisione del primo giudice, ritenendo che la responsabilità indiretta del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2049 c.c., per il fatto dannoso commesso dal dipendente, non richieda che fra le mansioni affidate all’autore dell’illecito e l’evento sussista un nesso di causalità, essendo piuttosto sufficiente un nesso di occasionalità necessaria, essendo a sua volta irrilevante che il dipendente medesimo abbia agito con dolo o per finalità strettamente personali.

La Corte d’appello aveva, tuttavia, ritenuto insufficiente la somma quantificata in primo grado per il risarcimento del danno subito dalla lavoratrice, in considerazione della gravità del pregiudizio fisico e psichico riportati per effetto delle molestie sessuali poste in essere nei suoi confronti da due dipendenti, suoi superiori gerarchici, e seguite, a breve distanza di tempo, dallo stupro perpetrato nei propri confronti da uno dei due.

Il giudice di secondo grado aveva quindi, reputato equo aumentare del 50% l’importo del pregiudizio subito dalla ricorrente.

Il ricorso per cassazione

Non soddisfatta la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, lamentando l’omessa liquidazione del danno (morale) alla vita di relazione riconosciuto dal CTU medico legale di primo grado in misura equivalente al danno biologico.

La Corte di Cassazione (Sezione Lavoro, sentenza n. 4099/2020), ha accolto il ricorso perché fondato.

Invero il CTU aveva riconosciuto in capo alla ricorrente postumi di carattere permanente, rappresentati dal disturbo post traumatico da stress, con stato depressivo, quantificati in misura pari al 15% specificando essi “inci[devano] negativamente in misura equivalente al biologico” sulla vita di relazione della ricorrente. In altre parole, il CTU aveva individuato due poste di danno, una corrispondente al danno biologico pari al 15% (secondo le tabelle del risarcimento del danno) e l’altra di danno non patrimoniale alla vita di relazione riconosciuto in egual misura rispetto al danno biologico, e pertanto, pari anch’esso al 15%.

Ebbene, i giudici della Suprema Corte hanno ribadito che il compito del giudicante è quello di valutare congiuntamente, ma in modo distinto, la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale e cioè, tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (il danno definito morale, da identificarsi con il dolore, come in ipotesi della vergogna, della disistima di sé, della paura, ovvero della disperazione) quanto quello dinamico-relazionale (atto ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

Nella valutazione di tale danno, assumono rilievo a fini risarcitori, tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale – che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso – quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita – che si muovono nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé” (Cass. n. 20795/2018).

La personalizzazione del danno

Al riguardo la giurisprudenza ha già chiarito che la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema cd. del punto variabile) può essere poi aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e del tutto peculiari, quali quelle ritenute sussistenti del caso di specie (Cass. n. 21939/2017; n. 901/2018; n. 7513/2018).

Conseguentemente, il danno biologico, rappresentato dall’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, è pregiudizio ontologicamente diverso dal cd. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute: entrambi devono essere risarciti (Cass. n. 27428/2018).

Il diritto al risarcimento del danno morale per la vittima di molestie sessuali

Dunque sebbene, il giudice debba provvedere ad una liquidazione unitaria di tale danno, allo stesso modo dovrà riconoscere al danneggiato una somma di denaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito, tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua componente, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (Cass. n. 7766/2016).

Alla luce di quanto esposto, è apparsa evidente l’omissione in cui era incorsa la corte di merito, la quale pur incrementando del 50% l’esigua determinazione del danno biologico (danno psico-fisico) già riconosciuta dal giudice di primo grado, aveva totalmente omesso di liquidare la voce del danno morale inteso come sofferenza intrinseca ed ulteriore della parte danneggiata stricto sensu.

La decisione

Insomma, era evidente che la personalizzazione del danno con l’aumento in misura del 50% della somma già riconosciuta in primo grado, non fosse sufficiente a ristorare il pregiudizio subito dalla lavoratrice, perché non conforme ai canoni risarcitori normativamente e giurisdizionalmente previsti, “atteso che una voce, il danno morale, quale lesione intima, interiore – componente indefettibile del danno non patrimoniale in determinate circostanze, peraltro particolarmente rilevante (attesa le molestie sessuali e lo stupro) nel caso di specie, oggetto di domanda sia in primo che in secondo grado -, era stata del tutto omessa nella motivazione non essendosi in alcun modo provveduto al riguardo”.

Per queste ragioni, il ricorso è stato accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla corte di merito la quale dovrà provvedere alla liquidazione dell’ulteriore danno morale.

Avv. Sabrina Caporale

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