Riconosciuto il diritto al risarcimento del danno catastrofale rappresentato dall’agonia della vittima come diritto insorto quando era lucida e consapevole

Morì nel 1996, in seguito a un incidente stradale in cui aveva riportato alcune fratture e un trauma toracico – addominale. A distanza di 25 anni, la Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11719/2021, ha riconosciuto “il danno morale da lucida agonia o danno catastrofale subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nell’avvertire consapevolmente l’ineluttabile approssimarsi della propria fine, risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo temporale intercorso tra le lesioni e il decesso”.

Gli Ermellini hanno accolto il ricorso dei familiari della vittima, un uomo di 38 anni, i quali avevano agito in giudizio per essere risarciti.

In base a quanto ricostruito, infatti, l’uomo era stato portato al Pronto soccorso di Urbino dove, dopo l’immobilizzazione delle fratture vennero effettuati alcuni prelievi, tra cui quello ematico, da cui emerse la discesa di tutti i valori, facendo sorgere il sospetto di una probabile emorragia interna che rese necessario un esame ecografico che accertasse e localizzasse eventuali lesioni interne.

Nonostante la disponibilità dell’ecografo, l’esame non poté tuttavia essere eseguito, stante l’assenza di un professionista in grado di effettuarlo e la mancanza di un servizio di reperibilità notturna presso il reparto. Di conseguenza, intorno alle 23:00, il paziente era stato trasportato all’ospedale di Rimini, ove era giunto alle 23:50 con diagnosi di shock ipovolemico in politraumatizzato e stato di agitazione. Dall’esame ecografico eseguito in urgenza era emersa la presenza di un marcato versamento all’interno del cavo addominale che aveva reso indispensabile un intervento chirurgico in emergenza iniziato alle 01:40. Nel corso dell’intervento, intorno alle 02:00, si era verificato un arresto cardiaco irreversibile, nonostante le manovre rianimatorie eseguite.

La Corte di appello aveva dichiarato la responsabilità dell’allora Zona territoriale n. 2 di Urbino per il decesso, condannando l’Ente, di conseguenza, al pagamento di oltre 820 mila euro complessivi euro in favore di moglie, figlio, madre, nipote ex fratre e cognata del defunto; tuttavia, aveva negato la liquidazione del danno tanatologico, data la sopravvivenza in vita rispetto all’evento di danno per solo sette ore

La Suprema Corte, invece, ha sottolineato come secondo la giurisprudenza di legittimità, “in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale deve essere tenuto distinto da quello biologico terminale, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’integrità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità e intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo”.

Nel caso in esame, la Corte territoriale aveva chiaramente escluso la ricorrenza del danno biologico in ragione del breve lasso di tempo in cui la vittima era sopravvissuta all’evento di danno, ma non aveva preso in considerazione il danno da lucida agonia, la cui ricorrenza, prescinde dalla durata della sopravvivenza in vita ed è legata unicamente alla consapevole attesa della morte imminente ed inevitabile da parte della vittima.

Dalla CTU era emerso che l’uomo fosse lucido quando era giunto in ospedale alle ore 20.00 e lo era rimasto, venendo, peraltro descritto come” molto addolorato”, quando era giunto all’ospedale di Rimini alle 23.50; il suo stato era cambiato alle ore 1.20 quando aveva accusato una improvvisa perdita di coscienza accompagnata da arresto respiratorio. La lucidità si era manifestata inequivocamente: anche a prescindere, quindi, dal fatto che la sopravvivenza fosse stata molto breve.

La Corte territoriale, dunque, aveva errato nell’escludere il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale rappresentato dall’agonia della vittima come diritto insorto in capo a quest’ultima quando era lucida e consapevole e trasmesso iure hereditatis. 

La redazione giuridica

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