Come noto la L. n. 604 del 1966, art. 2, (come novellato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 37) prevede un onere di comunicazione della motivazione, a pena di inefficacia del recesso, contestuale al licenziamento scritto
La motivazione del recesso deve essere specifica al fine di far comprenderne al lavoratore le effettive ragioni.
Ma i motivi, una volta comunicati possono essere, successivamente, modificati dal datore di lavoro?
È quanto accaduto nella vicenda in esame. Dopo aver ricevuto la lettera di contestazione e di comunicazione del licenziamento, il datore di lavoro aveva provveduto a modificare le ragioni del recesso.
Cosicché, il dipendente dopo aver presentato ricorso dinanzi al Tribunale di Napoli e successivamente alla corte territoriale, si era rivolto ai giudici della Cassazione, i quali si sono pronunciati affermando il seguente principio di diritto: “i motivi comunicati al lavoratore licenziato sono immodificabili, sicché in giudizio il datore di lavoro non può invocarne altri ma soltanto aggiungere qualche fatto confermativo o di contorno”.
Il principio non è nuovo alla giurisprudenza di legittimità che ha più volte ribadito che “per tutti i casi di assoggettamento del rapporto di lavoro a norme limitatrici del potere di recesso del datore di lavoro, vale il principio dell’immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento, il quale opera come fondamentale garanzia giuridica per il lavoratore, che vedrebbe, altrimenti, frustrata la possibilità di contestare la risoluzione unilateralmente attuata dal datore” (cfr. Cass. n. 6012 del 2009).
La tutela del diritto di difesa del lavoratore dipendente
Il divieto è diretto a impedire una lesione del diritto di difesa (anche nella fase stragiudiziale) del dipendente, cui non possono essere opposti successivamente motivi nuovi e diversi.
Ne consegue che il datore di lavoro non può addurre a giustificazione del recesso, fatti diversi da quelli già indicati nella motivazione enunciata al momento della intimazione del recesso medesimo, ma soltanto dedurre mere circostanze confermative o integrative che non mutino la oggettiva consistenza storica dei fatti anzidetti.
“Nel caso di specie il licenziamento della lavoratrice era stato intimato per “crisi aziendale”: di fronte a questa che era la ragione, unica, sostanziale dell’atto, nessun altro motivo poteva essere aggiunto dal datore di lavoro, stante il divieto di modificabilità dei motivi di recesso, principio posto a garanzia del diritto di certezza giuridica del lavoratore”.
Irrilevanti sono state, pertanto, le circostanze dedotte dal legale rappresentante della società, in sede di interrogatorio libero, in ordine ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.
La redazione giuridica
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