La sentenza emessa dal Tribunale di Roma individua, sulla base della CTU, le responsabilità del medico chirurgo condannandolo alla liquidazione di 12mila euro a favore della paziente

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 12776 depositata il 23 giugno scorso ha condannato un medico chirurgo e la struttura sanitaria presso cui il camice bianco operava, a risarcire una paziente sottoposta ad un intervento da cui non ha tratto alcun beneficio.

La signora in questione, a seguito di una brutta caduta, era stata costretta a sottoporsi ad un’operazione per la ricostruzione del legamento crociato del ginocchio destro. Ma l’intervento si era rivelato infruttuoso e la donna era stata costretta a tornare in sala operatoria, questa volta presso un’altra struttura, dove la ricostruzione del legamento veniva conclusa con successo. I problemi provocati dal primo intervento inducevano tuttavia la paziente ad aprire un contenzioso giudiziario contro il chirurgo e clinica.

Il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità del medico, e il conseguente diritto al risarcimento da parte della donna, basandosi sulla relazione di un Consulente Tecnico d’Ufficio da cui emergono chiaramente gli errori compiuti in sala operatoria. La documentazione evidenzia da un lato, che “l’aver effettuato un intervento di ricostruzione del legamento su ginocchio immobilizzato da circa un mese e con apparato muscolare ipotonico costituisce la premessa di un fallimento, ovvero di un cattivo risultato”, e, dall’altro che nella “esecuzione” dell’intervento si ravvisa un evidente “errore di posizionamento della vite di fissazione tibiale che appare essere troppo anteriore e mediale”, tale da “impedire la completa estensione del ginocchio” e “favorire la rottura del trapianto”. Inoltre la relazione sottolinea come “il posizionamento errato del ginocchio nel postoperatorio e la sua mancata protezione sollecitavano il nuovo legamento e inducevano stress sulla fissazione, provocandone l’allungamento” mettendo in luce, secondo il consulente, come “anche nella seconda fase vi siano stati “profili di criticità”, poiché “la non corretta tutela del ginocchio ha agito da ulteriore elemento di pregiudizio sul trapianto già di per sé instabile”.

La cifra fissata per il risarcimento è di oltre 12mila euro, comprensivi dei 4mila euro pagati per l’operazione, di cui un quinto a carico della Casa di cura che, per i giudici, “ha comunque il compito di selezionare, controllare e adeguare costantemente la scelta dei medici che operano al suo interno”. Il calcolo dell’importo da liquidare alla paziente deriva dal ragionamento economico in base al quale se la persona danneggiata “fosse stata in possesso” del denaro bloccato tra l’operazione e la successiva invalidità, lo avrebbe verosimilmente impiegato secondo i modi e le forme tipiche del piccolo risparmiatore, in parte investendolo e ricavandone i relativi guadagni; in tal modo, “oltre a porre il denaro al riparo dalla svalutazione”, vi sarebbe stato “un guadagno che è mancato e che pertanto è giusto e doveroso risarcire”.

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