Omessa diagnosi delle malformazioni del feto

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I genitori citano a giudizio tre medici, l’ASL Città di Torino e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Città della Salute e della Scienza di Torino”, per l’omessa diagnosi di malformazioni del feto.

Il caso

La bambina presentava alla nascita “agenesia (difetto terminale) dell’arto inferiore dx dal terzo prossimale della gamba; ipoplasia del 1 dito piede sx (si distingue l’unghia e alla Rx si apprezza il metatarso e la prima falange malformata); bilateralmente brachidattilia del 3 e 4 dito delle mani con sindattilia cutanea tra le falangi distali del 3 e 4 e alla RX agenesia delle falangi mediali del 3 e 4 dito con falangi distali del 3 e 4 dito di forma triangolare”.

Tali malformazioni non erano state visionate né dall’ecografia eseguita dal medico (dipendente della ASL) alla ventesima settimana di gestazione, né da quella effettuata dalle due dottoresse (dipendenti della AUO) eseguita alla trentunesima settimana.

I genitori della bambina asseriscono che, ove tempestivamente informati, la gestante avrebbe esercitato il diritto di interrompere la gravidanza a causa del grave pericolo per la sua salute psichica.

Ciò che essi chiedono è il danno non patrimoniale conseguente alla nascita di un figlio non voluto. Inoltre chiedono il danno biologico subito per effetto del disturbo depressivo insorto in conseguenza dei fatti inaspettati; il danno derivante dallo shock emotivo subito al momento della nascita (essendo stati privati della possibilità di adattarsi gradualmente alla nuova situazione); il danno morale per il turbamento psicologico causato dall’inadempimento dei medici; il danno esistenziale atteso che la nascita indesiderata aveva radicalmente stravolto le loro abitudini di vita; il danno subito dalla minore per effetto della lesione del suo diritto a nascere sana. Quanto ai danni patrimoniali doveva essere risarcito il danno emergente pari alle spese mediche e ai costi necessari per assistere una persona non autosufficiente, nonché il lucro cessante, pari ai minori redditi conseguenti alla limitazione del tempo dedicato all’attività professionale per fare fronte all’assistenza della figlia.

La vicenda giudiziaria

Il Tribunale di Torino (sent. n. 114/2020) rigettava le domande attoree. In particolare:

  • dichiarava inammissibili le osservazioni alla CTU svolte da parti attrici all’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni e ne disponeva l’espunzione.
  • In ossequio alla sentenza della Corte di Cassazione, SSUU n. 25767/2015 negava l’esistenza del diritto a nascere sani, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria formulata nell’interesse della minore.
  • Avuto riguardo alle perizie già esperite in sede penale, escludeva la sussistenza degli addebiti mossi da parte attrice venendo in rilievo malformazioni difficilmente diagnosticabili (quanto alle malformazioni al piede ed alle mani), con un tasso di identificazione compreso tra il 18.2% ed il 53% (quanto all’agenesia della gamba destra).
  • Evidenziava che, sempre in sede penale, era stato già accertato che non vi fosse pericolo per la salute della madre, la quale comunque al momento degli accertamenti non avrebbe più potuto interrompere la gravidanza.
  • Rilevava che le conclusioni dei periti nominati in sede penale erano state confermate dai CTU in sede civile, tali conclusioni erano state contestate solo “timidamente” da parti attrici ed i CTU avevano compiutamente risposto.

La Corte d’Appello di Torino ha accolto parzialmente l’appello limitatamente alle statuizioni sulle spese di lite ed in parziale riforma della sentenza di prime cure, ha ridotto la condanna degli attori alle spese di lite del primo grado, liquidandole in favore di ciascuna parte convenuta in 27.804 euro (rispetto ai 45.000 euro liquidati in primo grado), confermando, nel resto, l’appellata sentenza.

L’intervento della Cassazione

I genitori della bambina contestano l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto “non corretta” l’osservazione critica formulata dagli appellanti “secondo la quale i CTU si sarebbero spinti ad effettuare “valutazioni” ontologiche circa le cause dell’errore commesso dal medico dell’ASL , non basate su alcun dato scientifico” e ritenuto altresì che i CTU avevano rappresentato che “non è possibile stabilire se l’operatore abbia annotato la visualizzazione delle ossa lunghe del segmento distale dell’arto inferiore destro, senza in realtà ottenerla, nel qual caso la condotta dello stesso risulterebbe censurabile sotto il profilo della valutazione medico legale in tema di responsabilità professionale. Ovvero se sia stato tratto in inganno, come può capitare, dai movimenti del feto, identificando come arto inferiore destro l’arto controlaterale già evidenziato, nel qual caso la condotta dell’operatore potrebbe risultare esente da censure”.

Lamentano che la Corte territoriale – nel superare le censure alla CTU perché non basata su alcun dato documentale/scientifico atteso che alcuna annotazione era stata fatta sul referto in merito a difficoltà riscontrate nell’eseguire l’esame ecografico – abbia ritenuto che “la circostanza che il medico non abbia annotato delle difficoltà nell’esecuzione dell’ecografia non comporta necessariamente che il feto non si sia mosso in occasione di tutte le fasi dell’indagine ecografica in cui non è possibile mantenere la visualizzazione del feto, come ad esempio nell’arco di tempo necessario per l’acquisizione di ciascuna immagine e quello successivo per riprendere l’indagine ecografica.
In altri termini, vi sono momenti dell’indagine ecografica in cui è tutt’altro che semplice rilevare i movimenti del feto e trarne le dovute conseguenze. Non può quindi considerarsi una malpractice il fatto che il sanitario non abbia annotato di non avere potuto eseguire compiutamente l’accertamento (anche solo a causa dei movimenti fetali) proprio perché non vi è evidenza che tali movimenti siano stati rilevati nel corso della visualizzazione del feto”. Insistono, in proposito, nel sostenere che la motivazione appena riportata sia illogica atteso che il “fatto che non sia stato possibile mantenere la continua visualizzazione del feto durante le fasi dell’ecografia, per coglierne eventualmente i movimenti, costituisce esso stesso un elemento di difficoltà dell’esame ecografico che avrebbe dovuto essere annotato e che avrebbe comportato la necessità di ripetere l’esame ovvero di prescrivere un’ulteriore indagine diagnostica”.

L’interpretazione dell’art. 1176 cc.

Con altra censura, i ricorrenti denunciano che la Corte di merito avrebbe interpretato l’art. 1176 cc nel senso che la diligenza degli ecografisti nell’adempimento della prestazione, rivelatasi errata, dovesse essere valutata in relazione alla probabilità statistica dell’errore nell’accertamento diagnostico e non, come avrebbe dovuto, interpretando correttamente la norma, in relazione alle modalità di esecuzione della prestazione eseguita in favore dei ricorrenti ed al dovere dei medici di fare tutto quanto fosse necessario per soddisfare l’interesse dei creditori all’esatto adempimento, tenuto conto della natura dell’attività esercitata.
Nello specifico, contestano il punto della motivazione della sentenza impugnata ove la Corte territoriale ha ritenuto “Contrariamente a quanto assunto dagli appellanti, l’inadempimento dei sanitari non può essere affermato per il solo fatto che gli stessi abbiano attestato l’avvenuta visualizzazione delle ossa lunghe degli arti inferiori, mani e piedi, attestazione che poi non ha trovato riscontro nella realtà. La prova dell’inadempimento dei sanitari non può arrestarsi a tale constatazione, dovendosi piuttosto valutare nel caso concreto se fosse ragionevolmente esigibile una diversa diligenza e se fosse quindi possibile con elevata probabilità un accertamento ecografico con esito diverso”.

Solo questa censura è fondata (Cassazione civile, sez. III, 21/08/2024, n.22996).

I ricorrenti non si limitano a criticare la valutazione che il Giudice del merito ha svolto delle risultanze istruttorie, di regola, insindacabile in sede di legittimità, bensì deducono che questi abbia non correttamente interpretato il canone della diligenza qualificata in relazione alle modalità di esecuzione della prestazione eseguita in favore dei ricorrenti.

Era onere dei medici ecografisti fornire la prova di avere adempiuto la richiesta prestazione diligentemente

Era onere dei medici ecografisti fornire la prova di avere adempiuto la richiesta prestazione diligentemente, invece i Giudici di appello hanno erroneamente sovrapposto a tale prova il rilievo ritenuto dirimente tratto dalla CTU, affermando che la probabilità statistica dell’errore nell’accertamento diagnostico non consentisse di ritenere ragionevolmente esigibile una diversa diligenza.

Difatti è onere del creditore dimostrare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del professionista è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno lamentato, mentre è onere del debitore dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza.

Il concetto di imprevedibilità

In proposito, la Cassazione condivide quanto già affermato (Cass. 29 marzo 2022, n. 10050) in merito al concetto di “imprevedibilità”, che pur lessicalmente evocativo di una soggettività comportamentale che rientra nell’area della colpa, se riferito alla causa impeditiva dell’esatto adempimento, va inteso, precisamente, nel senso oggettivo della “non imputabilità”, atteso che la non prevedibilità dell’evento (che si traduce nell’assenza di negligenza, imprudenza e imperizia), è giudizio che attiene alla sfera dell’elemento soggettivo dell’illecito, in funzione della sua esclusione, e che prescinde dalla configurabilità, sul piano oggettivo, di una relazione causale tra condotta ed evento dannoso.

Nel caso in esame viene fatta valere la responsabilità dei medici e della struttura sanitaria per i danni derivati dai referti della duplice ecografia morfologica effettuata la prima alla 20ma settimana, e la seconda alla 31ma settimana di gravidanza, recante la seguente attestazione:di aver visualizzato con caratteristiche nella norma le ossa lunghe degli arti inferiori – mani e piedi, annotazione (e, quindi, refertazione) che assumono erroneamente effettuata per non aver rilevato e informato delle malformazioni del feto”.
Ed allora i danneggiati sono tenuti a provare, anche per mezzo di presunzioni, il nesso di causalità materiale intercorrente tra la condotta dei medici e l’evento dannoso, consistente nella lesione della salute e nelle altre lesioni ad essa connesse (ovverosia il diritto ad essere informati della nascita di una figlia malformata). Viceversa, è onere dei convenuti, ove il predetto nesso di causalità materiale sia stato dimostrato, provare o di avere eseguito la prestazione con la diligenza, la prudenza e la perizia richieste nel caso concreto, o che l’inadempimento è dipeso dall’impossibilità di eseguirla esattamente per causa ad essi non imputabile.

La Corte di appello di Torino non ha applicato tali principi

Nel concreto doveva ritenersi dimostrata la relazione di causalità tra l’intervento sanitario (referti ecografici, tutti e due, attestanti la visualizzazione con caratteristiche nella norma, tra l’altro, le ossa lunghe degli arti inferiori, mani e piedi) e il successivo evento (nascita di una bimba affetta da molteplici malformazioni: agenesia della gamba dx, ipoplasie degli arti e brachidattilia di entrambe le mani e del piede sx), ergo, in applicazione dei criteri di riparto dell’onere della prova, sarebbe spettato ai medici e alla struttura sanitaria dimostrare che la prestazione era stata eseguita con la dovuta diligenza professionale, e che l’evento di danno si era verificato per una causa non a loro imputabile.

Ciò posto la S.C. considera che a prescindere dalla elevata probabilità che le malformazioni scheletriche sfuggano ad un’indagine ecografica di primo livello in una percentuale elevata di casi (elevata probabilità dipendente dalla insindacabile valutazione delle risultanze istruttorie – esiti della CTU – operata dalla Corte territoriale) appare errata in diritto la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria laddove ha ritenuto la condotta dei medici in concreto tenuta come non integrante ipotesi di responsabilità, pur in assenza della prova da parte dei medesimi, in ossequio al combinato disposto di cui agli artt. 1176,1218 e 2236 cod. civ., dell’essere tale esito dovuto a causa a loro non imputabile.

Errando, quindi, i Giudici di appello hanno rigettato la domanda sul rilievo della non agevole rilevabilità delle malformazioni, e della elevata probabilità statistica dell’esito errato dell’accertamento diagnostico, senza considerare che l’incertezza del risultato di una indagine, come quella di specie, destinata specificatamente alla ricerca di eventuali malformazioni fetali degli arti secondo le linee guida, non comporta necessariamente che la medesima sia particolarmente difficile, e che, soprattutto, detta probabilità statistica di insuccesso possa esaurire l’accertamento in ordine alla diligenza richiesta ai sanitari e supplire all’onere di questi ultimi di fornire elementi probatori idonei a dimostrare che la condotta negligente, imprudente ed imperita loro addebitata non sia stata da loro posta in essere.

La causa viene rinviata alla Corte di Torino che dovrà uniformarsi ai principi sopra riportati e valutare nuovamente la domanda risarcitoria sulla base della esperita CTU, al fine di verificare se gli operatori sanitari e la struttura abbiano operato con la diligenza professionale qualificata ai sensi dell’art. 1176 cc.

Avv. Emanuela Foligno

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