Omessa esecuzione di esami clinici e strumentali causano il decesso del paziente

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Chiamata a giudizio è l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Vittorio Emanuele di Catania per rispondere del decesso del paziente asseritamente causato da omessa tempestiva diagnosi di carcinoma uroteliale. In particolare a causa della omessa esecuzione di esami clinici e di una TAC con mezzo di contrasto, che avrebbe consentito un risolutivo trattamento chirurgico nella fase ancora non metastatizzata, nonché per difetto di informazioni da parte dei sanitari circa le condizioni del paziente e le cure da eseguire, in particolare ulteriori accertamenti alla vescica.

La vicenda giudiziaria

Il Tribunale, previa CTU, accoglie la domanda e condanna il Policlinico al pagamento in favore di ciascuna parte attrice iure proprio della somma di 225.000 euro, oltre 900 euro per le spese funerarie sostenute, nonché al pagamento in favore di ciascuno degli attori nei limiti e in proporzione della propria quota ereditaria, della somma di 82.353 euro per il danno non patrimoniale terminale, di 55.000 euro per il danno non patrimoniale per perdita di chances e di 30.000 euro per il danno non patrimoniale da omessa corretta informazione. Tale decisione viene confermata dalla Corte di appello di Catania.

I Giudici di appello hanno osservato che, rispetto all’affermazione del Tribunale secondo cui il comportamento colposo dei sanitari è consistito nel non effettuare, nell’immediatezza del ricovero nel reparto in urologia, un esame citologico delle urine, e soprattutto nel non essere stato proseguito l’iter clinico, a causa di una non adeguata informazione sulla sua necessità”, l’appello aveva riguardato esclusivamente il dedotto difetto di informazione, e non l’affermata responsabilità dell’azienda per la mancata esecuzione dell’esame citologico al momento del primo ricovero, per cui ricorreva l’inammissibilità del motivo per difetto di interesse a fronte della definitività dell’autonoma motivazione non impugnata.

La relazione del CTU

Ancora, in relazione alla censura svolta nei confronti della CTU, che non era stato censurato – se non sotto il profilo del difetto di informazione quanto al successivo iter diagnostico da eseguire – l’accertato nesso causale fra la mancata diagnosi, che i medici avrebbero potuto tempestivamente effettuare attraverso l’esame citologico in occasione del primo ricovero, quando già erano emerse condizioni della vescica che consigliavano lo svolgimento di tale semplice indagine, e l’evento morte, conseguenza della tardiva diagnosi del carcinoma.

La dedotta, generica sussistenza di comorbilità, era stata del tutto smentita dalle conclusioni dei CTU, le quali erano state nel senso che “la mancata diagnosi aveva determinato il mancato trattamento, con la progressione della malattia neoplastica con grave compromissione delle possibilità terapeutiche, trovando indicazione nel caso la cistectomia radicale quale unica effettiva possibilità di sopravvivenza, non essendo presenti precedenti morbosi o traumatici concorrenti rilevanti ed incidenti sul decorso e sulla evoluzione della sofferta patologia neoplastica”.

Il Policlinico impugna la decisione in Cassazione, che rigetta.

Deduce che il giudizio dei CTU sia stato espresso in termini di verosimiglianza incompatibili con l’accertamento del nesso causale e le certezze necessarie e che i sanitari avevano già effettuato una TC che aveva escluso la presenza di neoplasie. Aggiunge che il paziente, nonostante che con le dimissioni ospedaliere in data 21 aprile 2011 (a seguito dell’accesso al pronto soccorso dell’A.O.) gli fosse stato prescritto di ripresentarsi presso la divisione di urologia dopo la risoluzione del quadro vascolare, aveva disatteso tale prescrizione, presentandosi solo in data 17 novembre 2012, e che in tale occasione era stata scoperta la massa tumorale, conseguendone l’inutilità della analisi citologica delle urine (da effettuarsi, secondo il Tribunale, al primo accesso presso il pronto soccorso dell’A.O.), per cui non vi sarebbe stato alcun nesso causale fra la condotta sanitaria ed il decesso.

L’intervento della Cassazione

Le censure vengono ritenute inammissibili (Corte di Cassazione, III civile, 21 ottobre 2024, n. 27258).

Ha affermato la Corte di Catania che l’appello aveva riguardato esclusivamente il ritenuto difetto di informazione, e non l’affermata responsabilità dell’azienda per la mancata esecuzione dell’esame citologico al momento del primo ricovero, per cui ricorreva l’inammissibilità del motivo per difetto di interesse a fronte della definitività dell’autonoma motivazione non impugnata. Ha affermato anche che non è stato censurato – se non sotto il profilo del difetto di informazione quanto al successivo iter diagnostico da eseguire – l’accertato nesso causale fra la mancata diagnosi, che i medici avrebbero potuto tempestivamente effettuare attraverso l’esame citologico in occasione del primo ricovero, quando già erano emerse condizioni della vescica che consigliavano lo svolgimento di tale semplice indagine, e l’evento morte, conseguenza della tardiva diagnosi del carcinoma.

La censura non può essere scrutinata perché non risulta specificatamente indicata la motivazione della sentenza del Tribunale cui dovrebbe correlarsi il motivo richiamato al fine di escludere la permanenza di una ratio perché impugnata. Anche in sede di sommaria esposizione dei fatti di causa non vi è specifica illustrazione della motivazione di primo grado.

Ad ogni modo, con le censure il Policlinico continua a non scalfire la ratio decidendi costituita dall’omesso esame, in sede di primo ricovero, che avrebbe consentito la diagnosi tempestiva, venendo opposta solo la asserita tardiva ripresentazione del paziente presso la struttura ospedaliera, circostanza che è relativa all’unica ratio decidendi impugnata, secondo quanto accertato dalla Corte territoriale, e che lascia ferma la circostanza dell’omessa diagnosi tempestiva.

Le comorbilità della paziente

Riguardo la circostanza, a dire del Policlinico, che la CTU non avrebbe considerato le numerose comorbilità da cui era affetto il paziente, e che non potevano essere ignorate, gli Ermellini evidenziano che nel caso di concorso tra una causa naturale ed una causa umana imputabile, la morte del paziente resta integralmente attribuita all’autore della condotta illecita sul piano della causalità materiale, mentre l’eventuale efficienza concausale dei suddetti eventi naturali rileva esclusivamente sul piano della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., ai fini della liquidazione, in chiave complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti, ascrivendo all’autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose da rapportare, invece, all’autonoma e pregressa situazione patologica del danneggiato (in tal senso viene richiamata, fra le tante, Cass. n. 26851 del 2023).

Il Policlinico non ha specificato se le comorbilità dedotte, ed in particolare le conseguenze derivanti dal tabagismo, siano state, nel quadro degli argomenti dell’impugnazione, riferite alla causalità materiale (erroneamente, peraltro, alla luce del richiamato principio di diritto) o alla causalità giuridica. Trattasi di precisazione rilevante perché in ordine alla causalità materiale l’appello è stato ritenuto inammissibile.

Una concausa naturale alla morte

Aggiunge la S.C. che, sottolineando che il tabagismo costituisce causa significativa dei carcinoma, la ricorrente pare avere dedotto non una concausa naturale dell’evento morte, ma la causa della patologia da cui è derivata la morte. In base a tale prospettazione le morbilità derivanti dal tabagismo sono irrilevanti sul piano della causalità dell’evento, incidendo non su quest’ultimo, ma sulla patologia che ne è la causa, a questo punto esclusiva.

Questa conclusione corrisponde a ciò che ha affermato la Corte di Catania: sulla questione della morbilità, in realtà, il Giudice del merito ha pronunciato, affermando che la dedotta, generica sussistenza di comorbilità, era stata del tutto smentita dalle condivisibili conclusioni dei CTU, le quali erano state nel senso che “la mancata diagnosi aveva determinato il mancato trattamento, con la progressione della malattia neoplastica con grave compromissione delle possibilità terapeutiche, trovando indicazione nel caso la cistectomia radicale quale unica effettiva possibilità di sopravvivenza, non essendo presenti precedenti morbosi o traumatici concorrenti rilevanti ed incidenti sul decorso e sulla evoluzione della sofferta patologia neoplastica”.

Conclusivamente, il ricorso del Policlinico viene integralmente rigettato con condanna alle spese.

Avv. Emanuela Foligno

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