“Con riferimento specifico alle infezioni nosocomiali, spetterà alla struttura provare di: 1) aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive; 2) dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico.” (Cassazione Civile, sez. III, Sentenza n. 4864 del 23/02/2021)
Due coniugi agivano in giudizio per vedere accertata la responsabilità del medico e della struttura sanitaria presso cui la donna aveva eseguito due interventi chirurgici. A detta degli attori, il secondo intervento si rendeva necessario a causa dei postumi residuati in seguito al primo intervento, che non era stato effettuato correttamente. A seguito della seconda operazione si verificava una infezione chirurgica della ferita operatoria causata dal batterio Serratia Marcenscens, che rendeva necessario un terzo intervento chirurgico presso altra struttura.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano le domande degli attori.
In particolare, sugli esiti della CTU disposta nel giudizio di primo grado, la Corte d’Appello riteneva non raggiunta la prova del danno con riferimento ai postumi lamentati a seguito del primo intervento, e la prova della riferibilità causale della infezione alla struttura sanitaria.
Con specifico riferimento alle infezioni nosocomiali, la Corte ha ritenuto non provato il nesso causale tra l’infezione e l’operato dei sanitari, poiché dalla CTU emergeva che le cause della infezione potessero essere altre, anche prevalenti.
Secondo la Corte d’Appello, i CTU avrebbero infatti ipotizzato come probabile l’acquisizione nosocomiale dell’infezione, ma avrebbero poi escluso la responsabilità della Casa di Cura con il criterio del più probabile che non, rilevando che l’attrice si era curata personalmente presso il proprio domicilio per venti giorni.
La vicenda approda in Cassazione ove viene lamentata violazione e falsa applicazione dei principi inerenti la ripartizione dell’onere della prova.
Secondo la Suprema Corte, il Giudice d’Appello non ha applicato correttamente il principio di ripartizione degli oneri probatori in materia di responsabilità per infezioni nosocomiali.
Preliminarmente viene richiamato il consolidato orientamento secondo cui “Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario. Spetta invece alla struttura sanitaria dimostrare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, l’esatta esecuzione della prestazione o la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione”.
Si ribadisce che in materia di responsabilità medica, il ciclo causale è doppio: il primo ciclo è quello relativo all’evento dannoso e deve essere provato dal danneggiato; il secondo ciclo è quello relativo alla possibilità di adempiere, che deve essere provato dal danneggiante.
Il Giudice d’appello ha errato poiché ha scomposto l’evento dannoso in danno da paralisi ed incontinenza da un lato (ovvero i postumi derivanti dall’intervento), e danno da infezione dall’altro, anziché considerare entrambi i danni come effetto della sequenza fattuale complessivamente causativa del danno.
Inoltre, non è stato considerato che gli attori avevano assolto l’onere probatorio su di loro incombente risultando allegato il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica e l’insorgenza della infezione nosocomiale.
Ed ancora, la Corte d’Appello ha travisato i fatti accaduti, giacché la paziente non si era curata presso il proprio domicilio per venti giorni, e non aveva interpretato correttamente le risultanze della CTU poiché i Consulenti, in realtà, hanno affermato che con alta probabilità l’infezione avesse genesi nosocomiale.
Per tali ragioni, la Suprema Corte rinvia alla Corte d’Appello in diversa composizione, affinché “oramai esaurito il giudizio in punto di an debeatur in assenza di prova liberatoria fornita dai convenuti – determini il quantum da liquidare a titolo di risarcimento dei danni cagionati in favore della parte”.
Avv. Emanuela Foligno
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