Il Tribunale di sorveglianza aveva negato il permesso sulla base della considerazione che l’anziano padre impossibilitato a muoversi non era in pericolo di vita

Con la sentenza n. 12343/2020 la Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso presentato da un detenuto contro l’ordinanza di rigetto, da parte del Tribunale di sorveglianza, del reclamo proposto avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza che gli aveva negato il permesso di poter rendere visita all’anziano padre impossibilitato a muoversi. L’istruttoria compita dal giudice di prime cure aveva consentito, infatti, di accertare che il genitore non versava in imminente pericolo di vita; inoltre, l’uomo aveva già fruito, in precedenza, di analogo beneficio, sicché non poteva ritenersi sussistente alcuna situazione eccezionale o irripetibile che legittimasse una nuova concessione del permesso.

Nell’impugnare il provvedimento davanti alla Suprema Corte, il ricorrente sottolineava di non aver già fruito di un analogo permesso, atteso che il beneficio, concessogli con decreto del Magistrato di sorveglianza, non aveva mai avuto esecuzione in quanto, contestualmente, egli era stato sottoposto a un provvedimento cautelare, relativamente al quale l’Autorità giudiziaria competente non aveva autorizzato la fruizione del permesso.

Inoltre, il condannato deduceva che l’esigenza di visitare l’anziano padre impossibilitato a muoversi in quanto ultraottuagenario, malato e invalido, come da documentazione clinica allegata all’istanza, era idonea a integrare i presupposti per la concessione del permesso di necessità ai sensi del comma 2 dell’art. 30 dell’Ordinamento penitenziario, beneficio da concedere in presenza di situazioni particolarmente gravi attinenti alla sfera, personale e familiare, del detenuto.

La Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato rinviando il caso al Tribunale di sorveglianza per un nuovo esame.

I Giudici Ermellini hanno evidenziato che l’art. 30 Ord. pen. dispone, al comma 1, che nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, il magistrato di sorveglianza possa concedere, ai condannati e agli internati, il permesso di recarsi a visitare l’infermo; e, al comma 2, che analoghi permessi possano essere concessi “eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità”.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della concessione del permesso di necessità previsto dal secondo comma, devono sussistere i tre requisiti del carattere eccezionale della concessione, della particolare gravità dell’evento giustificativo e della correlazione di tale evento con la vita familiare. Il relativo accertamento, inoltre, deve essere compiuto tenendo conto dell’idoneità del fatto a incidere significativamente sulla vicenda umana del detenuto.

In tale ambito, la giurisprudenza cassazionista solitamente ricomprende accadimenti che riguardano la nascita e la morte di soggetti che intrattengano relazioni qualificate con il detenuto, riconducibili alla nozione di “prossimi congiunti”.

Eventi che possono riguardare, ad esempio: la nascita di un figlio, costituente episodio eccezionale e insostituibile nell’esperienza di vita dell’interessato; la morte di un nipote, ex fratre, del detenuto o di un fratello; la severa patologia della moglie, affetta da grave forma tumorale con metastasi, tale da rendere gli spostamenti pericolosi per la salute. E’ inoltre sussumibile nella nozione di “evento di particolare gravità” anche la strutturazione progressiva di una condizione di impossibilità di movimento che, all’esito di un periodo sensibilmente lungo, si faccia apprezzare in termini di particolare gravità per la vita familiare del detenuto.

Nel caso in esame, il detenuto aveva dedotto una situazione chiaramente riconducibile, nella prospettazione contenuta nell’istanza e nel relativo reclamo, al comma 2 dell’art. 30 Ord. pen., ovvero alla presenza di “un evento familiare di eccezionale gravità” costituito dalla situazione di estrema difficolta, per il genitore, ottantenne e affetto da patologie ad andamento cronico, di recarsi in carcere per effettuare i periodici colloqui con il figlio.

Il Tribunale di sorveglianza, pur dando atto di tale circostanza, si era invece, pronunciato con riferimento all’eventuale applicabilità del comma 1, optando per la soluzione negativa sul presupposto che il padre del recluso non versasse in una situazione di pericolo di vita; aspetto, questo, che in realtà non era mai stato dedotto dall’interessato.

Non appariva dirimente neppure la circostanza che il detenuto avesse già fruito di un analogo permesso, sicché non sarebbe stata ravvisabile l’irripetibilità della situazione posta a fondamento della richiesta.

Infatti, anche a prescindere dalla deduzione difensiva in ordine alla mancata esecuzione del permesso all’epoca concesso, il Tribunale di sorveglianza non aveva comunque specificato quando tale esecuzione fosse avvenuta e, in particolare, se essa si collocasse in epoca significativamente remota, si da giustificare, in ipotesi, una nuova fruizione del beneficio a distanza di un congruo pericolo di tempo, conformemente alla funzione di umanizzazione della pena che il beneficio in questione assume.

La redazione giuridica

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