Parto prematuro e sofferenza neurologica perinatale

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Parto prematuro e sofferenza neurologica perinatale

Parto prematuro e sofferenza neurologica perinatale (Cassazione civile, sez. III, 12/05/2023, n.13107).

Sofferenza neurologica perinatale del feto in gravidanza ad altissimo rischio che si concludeva con parto prematuro.

La donna, aveva in precedenza subito già dieci interruzioni della gravidanza per cause naturali, una con rilevata anencefalia e un parto cesareo, incinta alla ventottesima settimana con gravidanza ad altissimo rischio, si faceva ricoverare a causa della rottura del sacco amniotico con perdita di liquido, e ivi veniva sottoposta a parto cesareo.

Il bambino pesava alla nascita 1180 grammi, risultava vivo e vitale con un punteggio di Apgar di 7 al primo minuto e di 9 al quinto minuto. Lo stesso veniva sottoposto per tre minuti a ossigenoterapia, quindi ne veniva disposto il trasferimento all’ospedale pediatrico per il ricovero in terapia intensiva in ragione della sua prematurità.

Non è stato accertato se durante il trasferimento il bambino fosse stato collocato in culla termostatica o sottoposto a ossigenoterapia; giungeva nella seconda struttura dopo due ore dal parto in condizioni cliniche generali definite mediocri nella scheda di accettazione, ed ivi rimaneva ricoverato per un mese e mezzo in terapia intensiva. Veniva quindi dimesso con diagnosi di “sofferenza neurologica perinatale, affetto da quadriplegia spastica quale esito di encefalopatia ipossico ischemica” con tutte le conseguenze del caso: deficit motorio generalizzato, ritardo nello sviluppo psicofisico, mancata autosufficienza.

Negli anni successivi era confermata la diagnosi di tetraplegia spastica e disartria grave con una invalidità permanente all’80 %.

Dopo oltre 15 anni, i genitori e lo stesso danneggiato maturarono il convincimento che i danni riportati alla nascita non fossero da collocarsi in epoca prenatale o perinatale, e quindi da considerarsi un evento ineluttabile, ma fossero dovuti ad una cattiva gestione, da parte della Struttura della partoriente, con parto ad alto rischio, e poi del neonato, nei momenti critici immediatamente successivi alla nascita.  Secondo gli attori, la partoriente avrebbe dovuto essere trasferita subito dopo il ricovero, e già prima del parto, in una struttura attrezzata per la cura dei grandi prematuri, dove sarebbe stato possibile sottoporre immediatamente il neonato a terapia intensiva, evitandone il trasporto subito dopo il parto, e che tale comportamento avrebbe potuto scongiurare le conseguenze patologiche irreversibili conseguenti alla ipossia cerebrale.

Il Tribunale, previo espletamento di CTU medico-legale, rigettava la domanda ritenendo che la spiegazione causale più probabile delle patologie riportate subito dopo la nascita fosse quella del verificarsi già prima del parto di uno stato infiammatorio infettivo che aveva reso necessario il parto prematuro ed escludendo, pertanto ogni responsabilità della Struttura per mancanza di prova del nesso causale.

Successivamente, la Corte di Appello di Firenze, previo rinnovo della CTU,  rigettava il gravame confermando l’esito del giudizio di primo grado. In particolare, i Giudici di secondo grado, aderendo alle conclusioni del secondo CTU, che non si discostavano da quelle tratte in primo grado, ritenevano che l’invalidità permanente accertata in capo al bambino fosse attribuibile ad un insulto ipossico-ischemico verificatosi temporalmente in epoca prenatale, quindi non collocabile storicamente e causalmente né nello specifico momento del parto, né nel periodo immediatamente successivo.

I ricorrenti si rivolgono in Cassazione e denunciano la violazione dei principi sulla distribuzione dell’onere della prova, attesa l’esclusione da parte della Corte territoriale del nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e l’evento lesivo, pur non essendo stata chiarita la causa della sofferenza ipossico-ischemica subita dal neonato, in difetto di prova certa della sua anteriorità rispetto al parto e pur emergendo, a loro avviso, la prova della negligenza nella gestione del parto. Ritengono inoltre che, quando all’esito del giudizio permane il dubbio sull’esistenza del nesso causale tra condotta censurata e danno, il rischio dell’incertezza debba ricadere sul debitore della prestazione. In particolare, affermano che, dati gli accertati danni cerebrali da ipossia neonatale, essendo rimasta ignota la causa specifica del danno, l’incertezza causale non può andare a svantaggio della parte danneggiata: è la parte obbligata che è tenuta alla prova positiva del fatto idoneo ad escludere il nesso di causalità.

Le censure sono infondate.

Gli Ermellini preliminarmente evidenziano (inaspettatamente, a parere di chi scrive) che i ricorrenti hanno agito in giudizio ritenendo che un danno così grave, che ha segnato per sempre non solo la vita del danneggiato principale ma quella di tutta la sua famiglia, coinvolta nelle necessità permanenti di assistenza, nella sofferenza morale, nella perdita di ogni prospettiva di un futuro per il figlio che possa prescindere dalla necessità costante di assistenza esterna, debba essere addebitato ad un responsabile, e che tanta sofferenza avrebbe potuto essere evitata da un intervento dei medici più adeguato e tempestivo.

Invero, i Giudici di secondo grado hanno attentamente passato al vaglio l’intera vicenda, disponendo anche una ulteriore CTU. Anche il secondo esito peritale contiene un accertamento chiaro e inequivoco sulla insussistenza della prova di un nesso causale tra la condotta tenuta dai sanitari in prossimità e subito dopo il parto e il verificarsi del danno cerebrale a carico del bambino.

In tema di responsabilità sanitaria, diversamente dall’orientamento pregresso percorso dai ricorrenti, il paziente è tenuto a provare, anche attraverso presunzioni, non solo l’esistenza del rapporto contrattuale ma anche il nesso di causalità materiale tra condotta del medico in violazione delle regole di diligenza ed evento dannoso, consistente nella lesione della salute (ovvero nell’aggravamento della situazione patologica o nell’insorgenza di una nuova malattia), non essendo sufficiente la semplice allegazione dell’inadempimento del professionista.

Il nesso di causalità deve essere provato attraverso l’utilizzo del criterio del più probabile che non, tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta al professionista dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua inimputabilità all’agente.

Ebbene, i Giudici di secondo grado hanno correttamente applicato tali principi giacchè, a seguito di una analisi accurata e di una rinnovata e approfondita indagine istruttoria a mezzo di CTU integrata dalla partecipazione di un neonatologo, ha ritenuto che la causa del danno riportato dal bambino fosse “più probabilmente riconducibile ad un insulto ipossico-ischemico verificatosi già in epoca prenatale, alcune settimane prima della nascita, e causa della ipercongenicità periventricolare con presenza di cisti preformatesi rispetto al momento della nascita, ritenendo poi appropriati i trattamenti praticati al bambino subito dopo la nascita, e che in particolare la somministrazione di ossigeno non fosse stata né dannosa, né univoca spia di una asfissia del neonato dopo il parto”.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso che fosse stata fornita la prova che il danno permanente riportato dal bambino fosse da porre in rapporto causale con il comportamento dei medici durante il parto,  e neppure con la scelta di far partorire la donna nell’ospedale pubblico al quale la stessa si era rivolta, né in non accertati ritardi nel trasferimento del neonato ad una struttura attrezzata con terapia intensiva neonatale, o in inadeguati trattamenti praticati al neonato alla nascita.

Oltretutto, nei confronti dei Medici della Struttura non è mai stata mossa alcuna specifica critica.

Il ricorso viene rigettato a spese compensate.

Avv. Emanuela Foligno

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