Patologia depressiva cronica del lavoratore portatore di handicap

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Al lavoratore viene intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto. Il recesso veniva impugnato per discriminazione ai sensi dell’art. 2 D.Lgs. n. 216/2003 perché tutte le assenze contestate risultavano causalmente riconducibili alla grave patologia depressiva cronica da cui era affetto il lavoratore, correlata alla sua condizione di soggetto portatore di handicap come da verbale INPS ex lege n. 104/1992 del 24/7/2018.

Il Tribunale di Nocera Inferiore, sia in fase sommaria, che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, rigettava le domande del lavoratore e la Corte di Appello di Salerno confermava la pronuncia di prime cure.

I Giudici di Appello danno atto che era risultato che il lavoratore (dipendente delle Poste), a seguito di una aggressione subita in data 21/3/2018 da parte del destinatario di una notifica di un atto, aveva subito un trauma cranico e gli era stato riconosciuto dall’INAIL l’infortunio sul lavoro per i giorni dal 23/3/2018 al 25/3/2018; che con verbale dell’INPS del 9/10/2018 era stata accertata allo stesso una condizione di handicap, ai sensi dell’art. 3 co. 1 legge n. 104/1992 senza connotazione di gravità, per le seguenti patologie: depressione con comportamento psicotico in terapia con neurolettici; ipoacusia neurosensoriale bilaterale; lombalgia.

Il superamento del periodo di comporto

Il lavoratore si era assentato dal lavoro per malattia dal 26/3/2018 fino al 31/1/2019 e dal 20/2/2019 fino al 10/3/2020, con superamento del periodo di comporto previsto dall’art. 41 CCNL Poste Italiane Spa del 30.11.2017; che a seguito del ritorno in servizio dell’1/2/2019 era stato adibito temporaneamente alle lavorazioni interne afferenti al C.D. di Scafati; che non era stata concretamente svolta la visita collegiale di accertamento di idoneità al lavoro richiesta ex art. 5 St. Lav. e programmata per il 5/7/2019.

La Corte di appello evidenziava che non vi era la prova della effettiva conoscenza, da parte di Poste Italiane, dello stato di handicap lieve del lavoratore; che i certificati medici inviati non riportavano alcuna specificazione di diagnosi né era stata barrata la voce “stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità permanente”; che non sussisteva un obbligo per la società datrice di lavoro di concedere un periodo di ferie al fine di interrompere il comporto per malattia, avendo avuto peraltro il lavoratore la possibilità di fruire di una aspettativa finalizzata appunto ad impedire la risoluzione del rapporto lavorativo.

In punto di responsabilità ex art. 2087 c.c., i Giudici di appello osservavano che il lavoratore era stato adibito subito a lavorazioni interne e non era configurabile alcuna responsabilità del datore di lavoro, in ordine alla aggressione subita da parte di un utente, destinatario di un atto nell’espletamento delle mansioni di portalettere.

Il ricorso in Cassazione

L’intervento della Suprema Corte è invocato, per quanto qui di interesse, per la tematica della conoscenza, o conoscibilità, da parte del datore di lavoro della condizione di disabilità e della riferibilità delle assenze per malattia a detta condizione.

La Corte territoriale ha sottolineato, a sostegno della propria decisione, da un lato, che non vi era la prova “persuasiva e tranquillante” che la società fosse a conoscenza dello stato di handicap lieve del dipendente; dall’altro, ha precisato che i certificati medici inviati dal dipendente non riportavano alcuna specificazione di diagnosi e che non risultava barrata la voce “stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta. Da ciò è stata esclusa una responsabilità colposa del datore di lavoro.

Il ragionamento è errato e non condivisibile (Cassazione Civile, sez. lav., 22/05/2024, n.14316).

Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri, di fatto sfavoriscono un determinato gruppo di persone. Ciò che è dirimente, pertanto, è l’effetto discriminatorio e non la condotta.

Il presupposto della conoscenza dello stato di disabilità, o la possibilità di conoscerlo, secondo l’ordinaria diligenza incide, evidentemente, sulla possibilità che il datore di lavoro possa fornire la prova liberatoria circa la ragionevolezza degli accomodamenti da adottare e, quindi, rappresenta un momento indispensabile nella valutazione della fattispecie. Ad ogni modo, per il datore di lavoro sorge, prima di adottare un provvedimento di licenziamento per superamento del periodo di comporto, un onere di acquisire informazioni – cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore – circa la eventualità che le assenze siano connesse ad uno stato di disabilità, per valutare, quindi, gli elementi utili al fine di individuare eventuali accorgimenti ragionevoli onde evitare il recesso dal rapporto (Cass. n. 11731/2024).

L’infortunio sul lavoro

Quindi, il datore è chiamato a provare di avere compiuto “uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata, che scongiuri il licenziamento, avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto” (Cass. n. 6497 del 2021).

Calando tali principi al caso concreto, risultava che il lavoratore aveva patito un infortunio sul lavoro il 21/3/2018 ed era sostanzialmente stato in malattia fino al 9/1/2019; era tornato a lavorare per pochi giorni ove era stato adibito a mansioni interne (e non a quelle esterne in relazione alle quali aveva subito l’aggressione e le percosse dal destinatario di una raccomandata), per poi assentarsi nuovamente per malattia dal 21/2/2019 all’8/3/2020 allorquando era stato licenziato per superamento del periodo di comporto del solo secondo periodo (cd. comporto secco); nelle more, con verbale dell’INPS del 24/7/2018 (in relazione al quale la Corte territoriale ha ritenuto che non vi fosse la prova di essere stato portato a conoscenza della società), era stato riconosciuto portatore di handicap lieve ex art. 3 co. 1 legge n. 104/1992.

Il lavoratore portatore di handicap

Poste Italiane era, pertanto, a conoscenza di un serio infortunio sul lavoro patito dal lavoratore (tanto è che aveva modificato le mansioni assegnate), nonché di un andamento delle assenze per malattia sicuramente anomalo e sintomatico di una patologia non ordinaria per cui, avendo riguardo ai principi sopra esposti, avrebbe dovuto coinvolgere, per una corretta applicazione delle norme, il lavoratore ai fini di acquisire i necessari chiarimenti in ordine alle assenze effettuate non essendo sufficiente, per ritenere giustificata l’omessa conoscenza della disabilità, che il dipendente non avesse segnalato che le patologie che avevano dato luogo alle sue assenze fossero collegate al suo handicap ovvero che non gli risultasse trasmesso il verbale di riconoscimento dello stato di portatore di handicap del dipendente stesso.

La Corte accoglie il secondo, il quarto, il quinto, il sesto, l’ottavo ed il dodicesimo motivo, rigettati gli altri ed assorbito il settimo. Cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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