Viene escluso che l’aggravamento e il decesso del paziente siano ascrivibili alla struttura e/o agli operatori sanitari che lo ebbero in cura dal 6 al 19 agosto 2013 (Tribunale di Brindisi, Sentenza n. 869/2021 del 10/06/2021 RG n. 4662/2016)

La madre e i fratelli del paziente deceduto a seguito di una perforazione intestinale presso l’Ospedale di Brindisi – ove era ricoverato sin dal 7/8/2013 a seguito di un ictus cerebrale -, citano a giudizio la ASL di Brindisi e i Sanitari onde ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali (sia iure proprio per la perdita del rapporto parentale e per danno biologico che iure hereditario, per il danno biologico patito dal congiunto).

Si costituiscono in giudizio tutti i convenuti domandato il rigetto dell’avversa domanda e rilevando la mancanza di responsabilità del personale sanitario, secondo quanto sarebbe emerso dalla CTP disposta dal PM nel corso del procedimento penale n.7003/13 RGNR, poi archiviato dal GIP del Tribunale di Brindisi con ordinanza depositata il 22 aprile 2015.

La causa viene istruita sulla base della documentazione prodotta dalle parti, e acquisizione del fascicolo penale.

Attesi gli esiti della fase istruttoria, il Tribunale ritiene la domanda infondata.

In data 06.08.2013 il paziente accusava un malore e veniva immediatamente trasportato con servizio di 118 presso l’Ospedale civile di San Pietro Vernotico, da cui venne dimesso lo stesso giorno in “codice verde” con diagnosi di “epigastralgia acuta”, per il rifiuto del paziente al ricovero in altro istituto.

Dal 07.08.2013, a seguito di una evidente emiplegia destra il paziente veniva trasportato tramite il servizio 118 presso l’Ospedale Perrino di Brindisi ove gli veniva diagnosticata “embolia cerebrale con infarto cerebrale” e ricoverato nel reparto di neurologia; a seguito del peggioramento delle condizioni cliniche per l’insorgenza di una iperpiressia, il paziente veniva sottoposto ad esami strumentali e colturali, finalizzati alla localizzazione dei focolai settici ed al contempo trattato con antipiretici ed antibiotici; in data 17.08.2013 a seguito dell’aggravamento del quadro settico, il paziente veniva trasferito in rianimazione, ove il quadro clinico si aggravava ulteriormente a causa della perforazione intestinale che rendeva necessario in data 18.08.2013 un intervento chirurgico; in data 19.08.2013 interveniva il decesso.

Gli attori invocano la responsabilità contrattuale in ragione dell’evidente nesso di causalità esistente tra l’operato dei medici ospedalieri e il decesso.

Il Giudice, preliminarmente, evidenzia la genericità della domanda attorea laddove non menziona la posizione ricoperta da ciascuno dei Sanitari convenuti a giudizio e neppure fa cenno in che misura la condotta dei singoli Sanitari abbia potuto contribuire al decesso del congiunto e quali siano le condotte degli stessi censurabili.

L’unica circostanza allegata dagli attori nell’atto introduttivo è un ritardo nella diagnosi e cura dell’epigastralgia acuta.

Ebbene, dalla documentazione in atti e dalla CTU medico legale svolta nel corso delle indagini preliminari del procedimento penale, il Tribunale esclude che l’aggravamento e il decesso del paziente possa essere ascritto alla responsabilità della struttura e/o degli operatori sanitari che lo ebbero in cura dal 6 al 19 agosto 2013.

In particolare, i CTU, a seguito di estumulazione e di approfondito esame autoptico del cadavere che all’epoca del decesso aveva 37 anni – e conseguente indagine istologiche nonché sulla base della cartella clinica, accertavano che il decesso fosse dovuto a “shock settico causato da infezione sistemica determinante rabdomiolisi, insufficienza renale acuta, ischemia intestinale in paziente con grave infarto cerebrale fronto-temporo-perietale sinistro “.

Gli stessi hanno ritenuto che “la causa dello shock settico e dunque dell’infausto epilogo, sia da individuare nella infezione batterica da “bacteroides distasonis” e da “Pseudomonas aeruginosa”, favorita dallo stato patologico in cui versava conseguente all’ictus cerebrale in soggetto immunodepresso (come documentato con emocoltura in sec onda giornata di ospedalizzazione), laddove “lo shock settico rappresenta una complicanza, spesso terminale dello stato settico severo e prevede l’instaurarsi di ipotensione arteriosa progressivamente ingravescente e meno responsiva al trattamento medico. La perforazione intestinale diagnosticata il 17/9/2013, si produsse ” con elevata probabilità logica, in pari data rispetto alla diagnosi … la ischemia acuta intestinale patita fosse classificabile fra quelle non-trombotiche, fra le cui cause si annoverano la sepsi, l’ipovelamia, lo shock cardiogeno, e cioè condizioni tutte presenti nel paziente al momento della insorgenza”.

I Consulenti, concludono ritenendo che “la causa più probabile che indusse nell’ischemia mesenterica e la successiva perforazione intestinale sia da individuare nella “sepsi severa, evoluta successivamente in shock settico, cui va ascritto il decesso del paziente …… una tale condizione clinica comporta tassi elevati di mortalità fra il 40% ed il 70%.”

Preso atto delle risultanze medico-legali, il Tribunale esclude che vi siano state violazioni di leges artis, le quali abbiano assunto una qualche efficienza causale o concausale nell’aggravamento delle condizioni di salute e nel conseguente decesso, da parte di alcuno dei sanitari che a vario titolo ebbero in cura il paziente nel corso dei 13 giorni dell’agosto 2013.

In particolare, secondo quanto emerso dalla relazione medico legale svolta nell’ambito del procedimento penale n.7003/13 RGNR, viene escluso che vi sia stato ritardo nella diagnosi della perforazione intestinale ischemica e nel trattamento chirurgico, né si sono riscontrati errori nella esecuzione di questo.

Per tali ragioni, la ASL ed i Sanitari hanno adempiuto all’obbligazione contrattuale con la diligenza richiesta dalla “natura dell’attività esercitata” ( art. 1176, comma 2, c.c. ), effettuando diagnosi e cure tempestive.

L’esito infausto delle cure è derivato da complicanze sopravvenute dipendenti esclusivamente dalle condizioni del paziente, il cui negativo epilogo è statisticamente ricorrente (fra il 40% ed il 70%) e dunque da un fattore – che sia pur statisticamente prevedibile – ma non evitabile da parte dei sanitari.

Le domande degli attori vengono, dunque, rigettate atteso il difetto di prova del nesso causale.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate in euro 5.000,00, oltre accessori e spese forfettarie che gli attori devono corrispondere ad ognuna delle arti convenute.

Avv. Emanuela Foligno

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