I Giudici territoriali non hanno inteso il senso della decisione della Corte, VI Sezione penale, che ha annullato ai fini civili la decisione di assoluzione della stessa Corte di Appello di Milano del CTU per il reato di falsa testimonianza (Cassazione Civile, sez. III, Sentenza n. 39447 del 13/12/2021

L’esperto balistico, nella qualità di CTP in un processo civile pendente, in grado di appello, dinanzi il Tribunale di Busto Arsizio, venne querelato, per il reato di diffamazione dal CTU dello stesso processo.

Il Giudice di Pace di Busto Arsizio, ritenuto sussistente il delitto di diffamazione, con sentenza n. 34 del 2004, condannava il CTP alla pena di trecento euro di multa, oltre al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile in favore del CTU.

La decisione era confermata in appello, sebbene con diversa motivazione, dal Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza n. 210 del 2005.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 41548 del 19/12/2006, annullava la sentenza con la formula: “il fatto non sussiste”.

Nelle more, il CTP aveva denunciato il CTU per il delitto di falsa testimonianza, con riferimento alla dichiarazione resa nel processo penale a suo carico.

Il primo si costituiva, quindi, parte civile nel processo penale a carico del secondo (il CTU) che, con sentenza del 14/01 – 01/03/2011, veniva ritenuto responsabile, dal Tribunale Busto Arsizio, di falsa testimonianza, con condanna al risarcimento dei danni nella misura di diecimila Euro.

La Corte di Appello di Milano, adita da entrambi., con sentenza n. 1179 del 2016, dopo il decesso del CTP e la costituzione in giudizio delle sue eredi, riformava totalmente la sentenza di primo grado e assolveva il CTU dal delitto di falsa testimonianza e revocava le statuizioni civili.

Su ricorso delle eredi (moglie e figlia) del CTP deceduto, la Corte di Cassazione con sentenza n. 49259 del 26/10/2017, annullava ai fini civili la sentenza di assoluzione resa dalla Corte di Appello di Milano e rimetteva la causa al Giudice civile competente in grado di appello.

La Corte di Appello di Milano adita in riassunzione ai fini civili, con sentenza n. 946 del 01/03/2019, ha, infine, rigettato la domanda di risarcimento del danno delle eredi del CTP.

Detta ultima sentenza viene impugnata in Cassazione dalle eredi del CTP che censurano violazione o falsa applicazione dell’art. 652 c.p.p., con riferimento all’erronea estensione degli effetti del giudicato della sentenza penale di assoluzione per il reato di falsa testimonianza all’azione civile di risarcimento danni promossa nello stesso processo penale dal danneggiato costituitosi parte civile e proseguita in sede civile in seguito al rinvio disposto dalla Corte di Cassazione a norma dell’art. 622 c.p.p..; violazione delle norme che regolano il giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 622 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere l’App. Milano completamente eluso e trascurato i principi di diritto e le statuizioni contenuti nella sentenza n. 49259/2017 della Cassazione che aveva disposto il rinvio; violazione e falsa applicazione degli art. 542 c.p.p.; violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di Appello erroneamente ed impropriamente ricondotto il pregiudizio lamentato dalle ricorrenti, in ordine alla lesione del diritto ad ottenere una sentenza giusta ed in tempi ragionevoli, nell’ambito della normativa in tema di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo.

La sentenza della Corte d’Appello civile impugnata si limita ad affermare, ma sovvertendo quelle che sono le risultanze di causa e segnatamente dell’esito positivo dell’impugnazione proposta e coltivata dalle sue eredi, che l’assoluzione in sede penale resa dalla Corte di Appello di Milano, era oramai passata in giudicato anche ai fini civili (che erano la ragione unica dell’impugnazione), in quanto non coperta dalla statuizione di cassazione con rinvio resa dalla sesta sezione penale di questa Corte (n. 42959 del 2017 sopra richiamata) ed era pertanto preclusiva, alla stregua di una sorta di divieto di bis in idem, all’affermazione della sua responsabilità civile, alla stregua dell’efficacia di giudicato di cui all’art. 652 c.p.p., della sentenza penale di assoluzione.

L’affermazione del Giudice di Appello pone nel nulla, o meglio, non tiene in alcuna considerazione, o forse non coglie appropriatamente, la decisione di questa Corte, in sede penale, come se la sentenza della Cassazione n. 49259 del 2017 non avesse, invece, affermato la necessità di colmare i vuoti motivazionali della sentenza della Corte di Appello di Milano, n. 1179 del 16/02/2016 in ordine alla rilevanza penale della condotta del CTU in termini di falsa testimonianza e ciò proprio, ed esclusivamente, ai fini civili.

L’errore nel quale cade la Corte di appello di Milano in ordine all’applicazione dell’art. 652 c.p.p., è evidente.

I Giudici territoriali non hanno inteso il significato della norma richiamata e, comunque, non hanno inteso il senso della decisione della Corte, VI Sezione penale, che ha annullato, ai fini civili, la denuncia di assoluzione della stessa Corte di Appello di Milano del CTU per il reato di falsa testimonianza.

Da quella statuizione, derivava la necessità di rivalutare, appunto con piena cognizione e autonomia, la rilevanza penale, ai fini civili, ossia dell’eventuale accertamento di un fatto illecito e delle conseguenze risarcitorie, delle dichiarazioni rese dal CTU nel processo penale nel quale era imputato il CTP.

La rilevanza penale di dette dichiarazioni era stata, peraltro, ravvisata dallo stesso Tribunale di Busto Arsizio, che aveva disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, in ordine al delitto di cui all’art. 372 c.p..

Altra statuizione errata della Corte territoriale, è quella relativa all’insussistenza di qualsivoglia danno risarcibile, patrimoniale e non patrimoniale in favore del CTP a seguito dell’instaurazione del processo per diffamazione, e quindi sono così escluse le pretese risarcitorie delle sue eredi, perché, afferma la sentenza in scrutinio, l’azione penale per il reato di diffamazione, notoriamente perseguibile a querela, sarebbe stata iniziata dal Pubblico Ministero e, pertanto, nell’assunto (errato) della Corte territoriale, il CTP, – per lui, le eredi-, non avrebbero subito alcun danno, neppure in termini di spese legali, il che vuole dire che se l’azione penale fosse stata iniziata a seguito di querela le odierne parti civili avrebbero senz’altro avuto diritto alle relative spese.

Il ricorso e’, pertanto, fondato e la sentenza impugnata viene cassata.

La causa, viene rimessa al Giudice d’Appello, ossia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, che si atterrà a quanto statuito anche in relazione all’accertamento del nesso causale.

Avv. Emanuela Foligno

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