Errata e illogica esclusione dell’applicazione al caso di specie del principio di immedesimazione organica. Gli attori agiscono in giudizio nei confronti dell’amministratore e legale rappresentate di una società, per ottenere il risarcimento dei danni subiti in occasione di un incidente del quale il legale rappresentante della predetta società era stato ritenuto responsabile in sede penale.
La domanda viene parzialmente accolta dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, nei soli confronti del suddetto legale Rappresentane della società che viene condannato al risarcimento della metà del danno non patrimoniale subito dalla vittima, ritenuta corresponsabile dell’evento dannoso in tale percentuale, per un complessivo importo di 463.355,00 euro.
In secondo grado, la Corte d’appello di Messina ha confermato la decisione del Tribunale.
Il soccombente si rivolge alla Corte di Cassazione lamentando l’errato rigetto dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva del sig. C. Errata e illogica esclusione dell’applicazione al caso di specie del principio di immedesimazione organica.
Principio di immedesimazione organica e ricorso in Cassazione
Nello specifico, il ricorrente deduce che egli, “seppure responsabile dal punto di vista penale per il reato contestato, non può essere responsabile della richiesta risarcitoria formulata in sede civile essendo responsabile solamente la società XX di cui egli è legale rappresentante”.
Secondo detta tesi, le società, e in generale le persone giuridiche, rispondono civilmente degli illeciti commessi dai loro organi in conseguenza del principio dell’immedesimazione organica dell’ente, secondo il quale gli atti illeciti, posti in essere nell’esercizio delle proprie funzioni da una persona fisica che riveste la carica di organo di una persona giuridica, sono direttamente imputabili alla persona giuridica stessa.
La censura viene rigettata (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 11 marzo 2025, n. 650).
Il Giudice penale ha riconosciuto la responsabilità personale del legale rappresentane della società, per il reato di lesioni colpose, con sentenza di condanna il cui passaggio in giudicato è pacifico e incontestato tra le parti. Il soccombente, appunto, in sede penale è stato condannato anche al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore delle costituite parti civili, e questa decisione fa stato nel giudizio civile risarcitorio in parola, ai sensi dell’art. 651 c.p.p., “quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso”.
Responsabilità penale e civile del legale rappresentante
Questo significa che non è “revocabile” la responsabilità del legale rappresentante della società per l’evento dannoso occorso agli attori.
Nel presente giudizio il soccombente ha censurato esclusivamente il “rigetto dell’eccezione di carenza della propria legittimazione passiva”.
Infatti la decisione della Corte di appello è corretta in quanto, in virtù del rapporto di immedesimazione organica tra ente e suo legale rappresentante, è riconosciuta la possibile responsabilità anche dell’ente rappresentato, unitamente a quella del legale rappresentante (a determinate condizioni), senza, però, in alcun modo affermare che tale eventuale responsabilità concorrente dell’ente escluda quella personale dello stesso legale rappresentante.
Ergo non rileva che la sentenza di condanna in sede penale non abbia avuto luogo per la violazione degli obblighi derivanti dall’art. 68, comma 3, del D.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164 e dall’art. 10 del D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, in quanto, ai fini dell’affermazione della Responsabilità civile, oggetto della domanda avanzata, è sufficiente la intervenuta (e pacifica) condanna inflitta per il reato di lesioni colpose.
Controversia sull’applicazione dell’art. 2055 c.c.
Infine, il ricorrente contesta anche l’applicazione dell’art. 2055 ultimo comma c.c. asserendo che non è possibile provare le diverse entità degli apporti causali tra danneggiante e danneggiato nella realizzazione dell’evento dannoso, e deduce che «sia esso medesimo che la società avevano articolato proprio mezzi di prova nel giudizio di primo grado diretti a provare proprio la diversa graduazione se non l’esclusione della colpa/responsabilità civile del legale rappresentante.
Quindi La Cassazione respinge anche questa censura in quanto, innanzitutto, è proprio lo stesso ricorrente a riconoscere di non avere reiterato nel giudizio di appello le istanze istruttorie disattese dal giudice di primo grado, affermando che a tanto aveva provveduto solo la società (che non ha proposto il ricorso per cassazione) e, comunque, perché si tratta di censure che difettano del requisito della specificità, non essendo richiamato in modo puntuale il contenuto delle istanze istruttorie di cui si lamenta la mancata ammissione.
Controversia sull’applicazione dell’art. 2055 c.c.
Avv. Emanuela Foligno