Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 21 aprile – 9 maggio 2016, n. 19175

…della difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche, del grado di atipicità o novità della situazione data. E quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall’impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del terapeuta che, pur uniformandosi ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato e determini la negativa evoluzione della patologia.

Imputati per il grave delitto di omicidio colposo, due medici ospedalieri venivano condannati dalla Corte di Appello di Catania, alla pena della reclusione di un anno.

Con siffatta pronuncia, la Corte territoriale aveva sovvertito la sentenza già emessa dal giudice di primo grado, ribaltando così l’esito assolutorio, in una condanna per colpa grave e, qualificando la condotta di entrambi i medici come gravemente negligente ed imperita.

Secondo quanto emerso dalle risultanze processuali i due imputati, esperti specialisti urologi, avrebbero cagionato il decesso di una donna, per arresto irreversibile delle funzioni vitali conseguente a shock da peritonite. La donna, già in precedenza ricoverata e successivamente dimessa per colica renale sinistra, nei giorni successivi manifestava sintomi clinici inequivocabili (grave rialzo febbrile e dolori addominali, diverticolite del sigma e conseguente occlusione intestinale, oltre che il risultato dell’esame radiologico che evidenziava la presenza di livelli idroaerei in cavità peritoneale) che, tuttavia, i due sanitari omettevano di valutare correttamente, e così al tempo stesso, omettevano di eseguire accertamenti diagnostici approfonditi quali tac o ecografia o consulenze più appropriate al fine di evitare l’evento tragico (pure altamente prevedibile) che di li a poco si sarebbe verificato.

Ad ogni modo, i due imputati, decidevano di proporre ricorso dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, denunciando la sentenza impugnata perché carente sotto il profilo motivazionale.

A giudizio delle difese, i giudici della corte distrettuale non avrebbero spiegato con rigore logico, la sussistenza del nesso causale tra l’omissione e l’evento. Al contrario, l’esistenza del ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della loro condotta omissiva non avrebbe potuto che condurre ad una piena assoluzione.

La stessa sentenza sarebbe stata, inoltre, viziata, sempre sotto l’aspetto motivazionale, perché non conforme al principio del necessario rafforzamento, in caso di provvedimento difforme rispetto all’assoluzione del primo giudizio e, dunque, tale da superare il ragionevole dubbio in ordine alla condotta omissiva dei due medici.

Dello stesso avviso è anche la Corte di Cassazione, la quale subito chiarisce che “nell’ipotesi di assoluzione in primo grado e condanna in secondo, ai secondi giudici, è imposto un obbligo di motivazione c.d. rafforzata per giustificare il differente apprezzamento come l’unico ricostruibile, al di là di ogni ragionevole dubbio, sulla base di elementi di prova diversi o diversamente valutati a confutazione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie del primo giudizio. Ciò anche in considerazione del fatto che gli imputati – poiché assolti – non hanno presentato appello e dunque, non hanno avuto più la possibilità di confutare il nuovo apprezzamento di merito, se non nel limitato ambito dell’impugnazione della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p. (Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231674; sez. 6, n. 22526 del 10/03/2015)”.

Ebbene, nel caso che ci occupa, – aggiungono gli ermellini – il giudice dell’appello ha ritenuto la sussistenza del reato contestato, richiamando – a sostegno di detta valutazione – il medesimo compendio probatorio già esaminato dal primo giudice e, procedendo alla disamina delle risultanze istruttorie nonché delle specifiche situazioni costituenti oggetto delle deposizioni. L’operazione di riesame, gravante sul giudice dell’appello, tuttavia, è stata effettuata in maniera incisiva ma non completa conferendo, riguardo alle parti non condivise della prima sentenza, una diversa struttura della motivazione che ha dato solo parzialmente ragione delle difformi conclusioni assunte (ex plurimis, Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Rv. 261327).

La sentenza doveva, quindi, essere annullata. Non si rinviene nella motivazione l’esatto superamento logico del confine del ragionevole dubbio: non appare delineata con la dovuta certezza l’esigibilità di una diagnosi differenziale tra la patologia urologica e quella addominale; non risulta inoltre, provata, alla stregua dei vigenti ed applicabili parametri di cui al D.L. 13 settembre 2012, n. 158 convertito in Legge 8 novembre 2012, n. 189, la sussistenza del nesso casale, in ordine alla sussistenza di una “colpa grave” in capo a ciascuno degli imputati; né può dirsi completa, la valutazione circa il rispetto, da parte dei ricorrenti, delle linee guida in materia, che costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato e delle decisioni terapeutiche appropriate; di talché il terapeuta complessivamente avveduto ed informato, attento alle linee guida, non sarà rimproverabile quando l’errore sia lieve, ma solo quando esso si appalesi rimarchevole (sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013).

A tal proposito, la Cassazione, ancora una volta, ci ricorda che “la colpa costituisce la violazione di un dovere obiettivo di diligenza. [ Ebbene], un primo parametro attinente al profilo oggettivo della diligenza riguarda la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare cui ci si doveva attenere. In altre parole, è necessario valutare di quanto gli imputati si siano discostati da tale regola, quanto fosse prevedibile – in concreto e per ciascuno di essi – la realizzazione dell’evento, quanto fosse in concreto evitabile la sua realizzazione. Per quanto concerne il grado della colpa sotto il profilo soggettivo, sarà invece, necessario determinare la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dello stesso: quanto più adeguato è il soggetto all’osservanza della regola e quanto maggiore e fondato l’affidamento dei terzi, tanto maggiore il grado della colpa. Infine, un ulteriore elemento di rilievo sul piano soggettivo è quello della motivazione della condotta. Infatti, un trattamento terapeutico sbrigativo e non appropriato è meno grave se compiuto per una ragione d’urgenza”.

Sul piano poi, della motivazione“rafforzata” – continuano i giudici della Corte – perché questa sia ineccepibile, occorre che essa contenga oltre a tutti gli elementi già sopra enunciati, la valutazione della complessità, dell’oscurità del quadro patologico, della difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche, del grado di atipicità o novità della situazione data. E quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall’impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del terapeuta che, pur uniformandosi ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato e determini la negativa evoluzione della patologia (sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013).

Avv. Sabrina Caporale

 

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui