Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 22 marzo – 1 agosto 2016, n. 33582.

«In un tempo nel quale straordinaria è la complessità e frastagliata e molteplice è la specializzazione dei saperi, ipotizzare che il giudice possa sostituirsi al perito sembra espressione di una sostanziale negazione della modernità e sottrae al processo la funzione di vaglio critico degli elementi assumibili a base del giudizio. (…) le informazioni che attraverso l’indagine peritale, e non solo, penetrano nel processo devono essere valutate nella loro affidabilità ed imparzialità.

A ciò serve la dialettica processuale; a porre le basi di un giudizio critico che è compito precipuo del giudice perché garante dell’affidabilità delle basi scientifiche del giudizio.

I giudici di merito, invece, hanno omesso qualsiasi valutazione critica del contributo offerto dagli esperti, limitandosi a far loro le relative considerazioni».

La Corte di Appello di Catanzaro confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Rossano, che aveva mandato assolti dai reati loro rispettivamente ascritti gli imputati tratti a giudizio per rispondere di omicidio colposo, il primo in qualità di ginecologo, per aver somministrato ad una gestante un farmaco in grado di produrre una ipercontrattilità uterina ed aver omesso di disporre il monitoraggio continuo cardiotocografico dall’inizio del travaglio, e le seconde, infermiere ostetriche in servizio presso lo stesso ospedale, per aver omesso di informare il personale medico delle condizioni della paziente e di sorvegliare l’esecuzione del monitoraggio, e quindi per aver cagionato la morte del bimbo portato in grembo dalla donna, che decedeva per asfissia acuta insorta durante il travaglio di parto.

Da quanto emerso, il giudice di primo grado era giunto alla pronuncia assolutoria perché, pur ritenendo accertato che fosse stata omessa la prescrizione e l’esecuzione del monitoraggio continuo del feto, così come contestato, nonostante la loro doverosità viste le specifiche condizioni presentate dalla paziente (portatrice di ipertensione ed obesità), – e avendo, per contro, escluso che la somministrazione del farmaco trasgredisse le legis artis – aveva giudicato non raggiunta la prova della efficienza causale di quella omissione – comune a tutti gli imputati – non risultando accertabile il momento nel quale fosse insorta la sofferenza fetale.

Dalle indagini tecniche era infatti, emerso che quand’anche quest’ultima fosse stata tempestivamente segnalata da un tracciato, l’evento morte si sarebbe verificato ugualmente perché il tempo necessario all’azione salvifica (approntamento ed esecuzione di taglio cesareo) sarebbe stato pari o superiore a quello che era stato necessario all’espulsione spontanea del feto.

Parimenti la Corte d’Appello adita, confermava tale giudizio, rammentando che secondo il parere espresso dai consulenti tecnici del P.M., la morte era stata causata da asfissia prenatale insorta improvvisamente durante il travaglio, e dunque anche un corretto monitoraggio non avrebbe impedito l’evento infausto.

Con unitario motivo di impugnazione, la paziente rimetteva il caso ai giudici della Suprema Corte di Caassazione, insistendo per la sicura violazione delle regole cautelari da parte dei sanitari tratti a giudizio e lamentando il vizio di motivazione nella sentenza impugnata.

Gli esperti – assume il ricorrente – avevano affermato che non sempre il rilevamento cardiotocografico di uno stato asfittico fetale, seguito da taglio cesareo, evita il decesso. Su tale premessa il giudice di secondo grado avrebbe dovuto giungere ad una pronuncia di condanna perché, indiscussa la condotta omissiva colposa, non era stata raggiunta la prova dell’assenza di responsabilità degli imputati.

Non soltanto. Ma ove il monitoraggio fosse stato eseguito come prescritto dalle linee guida in materia, lo stato di sofferenza si sarebbe potuto rilevare con molto anticipo e l’evento morte evitare con elevato grado di probabilità logica.

Le considerazioni della Corte.

«È principio consolidato che in tema di causalità nei reati colposi, va esclusa la responsabilità dell’agente quando l’evento si sarebbe comunque verificato in relazione al medesimo processo causale, nei medesimi tempi e con la stessa gravità od intensità, poiché in tal caso dovrebbe ritenersi che l’evento imputato all’agente non era evitabile (Sez. 4, n. 28782 del 09/06/2011 – dep. 19/07/2011, Cezza, Rv. 250713; Sez. 4, n. 31980 del 06/06/2013 – dep. 23/07/2013, Nastro, Rv. 256745; Sez. 4, n. 37094 del 07/07/2008 – dep. 30/09/2008, Penasa, Rv. 241025)».

«In questa esplorazione la Corte di Appello si è imbattuta nel dato evidenziato dagli esperti, ovvero che l’asfissia era insorta improvvisamente nella fase del travaglio; ma, soprattutto, in quello negativo, della impossibilità di determinare – anche a causa del mancato monitoraggio – il preciso momento in cui si era determinata la sofferenza fetale (e risulta quindi non convalidata dalla sentenza impugnata l’affermazione del ricorrente che il battito cardiaco sarebbe stato rilevato in una fase in cui il feto era in evidente sofferenza), tanto che questa avrebbe potuto insorgere anche cinque minuti prima del decesso e quindi in un tempo che non avrebbe consentito alcuna azione salvifica».

Ciò posto, «non è corretto – aggiungono i giudici della Corte – inverire i termini del ragionamento giuridico (come fatto dal ricorrente), che non sono quelli per i quali, posta una sicura condotta non cautelare e determinatosi l’evento che la cautela intendeva evitare deve andarsi alla ricerca della prova dell’assenza di responsabilità; che è come dire ritenere sufficiente i due termini di una astratta relazione causale, senza interessarsi che questa si sia determinata in concreto. Piuttosto è vero che, dati i primi due elementi, deve ancora ricercarsi la prova della responsabilità, ovvero in primo luogo della valenza causale della condotta omissiva colposa, la quale richiede quel giudizio ipotetico che va sotto il nome di giudizio controfattuale, che nel caso di specie può essere così formulato: ove si fosse eseguito un monitoraggio continuo e corretto delle condizioni del feto, e la sofferenza fetale fosse stata quindi percepita, si sarebbe comunque determinata la morte del piccolo?»

«A questa domanda, che nella sentenza impugnata trova risposta negativa perché non identificabile il momento di insorgenza della sofferenza, e quindi non affermabile la compatibilità di un’azione salvifica con la possibile tempistica, il ricorrente fa seguire una risposta positiva che prescinde totalmente da quanto evidenziato dalla Corte di Appello a proposito della non identificabilità del momento di insorgenza della sofferenza, prospettando la preparazione della sala parto “per ogni evenienza”».

Ma comunque i rilievi sin qui esaminati si presentano non ammissibili a giudizio della Corte essendo aspecifici e mancando di correlazione con la motivazione impugnata. È noto, per consolidata giurisprudenza, che il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, è inammissibile (ex multis, Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

Al contrario, il giudizio avrebbe dovuto concentrarsi su su ciò che rappresenta realmente il vero fulcro della vicenda: l’assenza, cioè, di informazioni circa il tempo di insorgenza della sofferenza fetale e il connesso giudizio relativo alla tipologia di intervento in astratto salvifico. Tema che tuttavia – osservano i giudici – non è stato per nulla oggetto di motivazione.

Si ribadisce pertanto che «le informazioni che attraverso l’indagine peritale, e non solo, penetrano nel processo devono essere valutate nella loro affidabilità ed imparzialità. A questo serve la dialettica processuale; a porre le basi di un giudizio critico che è compito precipuo del giudice perché garante dell’affidabilità delle basi scientifiche del giudizio. I giudici di merito, invece, hanno omesso qualsiasi valutazione critica del contributo offerto dagli esperti, limitandosi a far loro le relative considerazioni».

Tanto basta per annullare la sentenza impugnata e rimettere nuovamente la questione al giudice civile competente per valore, in grado di appello per un nuovo esame.

Avv. Sabrina Caporale

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