Danno iatrogeno, ove sia dedotta la responsabilità del sanitario per l’inadempimento della prestazione, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 12 febbraio 2025, n. 3582).
I fatti
La vittima, a seguito di caduta il 2 maggio 2014, aveva riportato una frattura del segmento prossimale dell’omero sinistro. Presso l’Ospedale di Mestre, senza un’adeguata previa informazione, veniva praticato un bendaggio immobilizzante, non constatando il posizionamento angolato dei monconi e omettendo l’intervento chirurgico d’idonea riduzione della frattura, con conseguente danno all’articolazione della spalla successivamente sottoposta, presso l’Ospedale di Bologna, i primi di agosto 2014, a intervento di sinoviectomia in artroscopia, con modesti risultati.
Per tali ragioni cita a giudizio l’ASL di Venezia per il ristoro dei danni alla salute e quelli, sempre non patrimoniali, derivanti dalla violazione del consenso informato.
Il Tribunale rigetta la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, in particolare non risultava la sussistenza del nesso causale, quale fatto costitutivo della pretesa.
La responsabilità medico chirurgica
Secondo la danneggiata, il Giudice di merito non avrebbe affrontato la sua censura secondo cui il tipo di frattura, indipendentemente dalla scelta terapeutica seguita, dunque anche in caso d’intervento chirurgico iniziale, avrebbe comportato postumi permanenti quali la sindrome algodistrofica, come confermato dal fatto che l’ultimo medico cui si era poi rivolta la paziente non aveva neppure consigliato alla stessa un intervento di chirurgia ossea e non sui tessuti molli quale infine eseguito.
Sempre secondo la vittima, inoltre, lo stesso CTU non avrebbe replicato alle ulteriori osservazioni del CTP di parte convenuta, secondo cui l’indicazione chirurgica presupponeva una certa angolazione minima dei monconi e una scomposizione dei frammenti superiore al centimetro, non dimostrate, mentre nemmeno potevano compararsi, per diversa proiezione, le iniziali radiografie e quelle del 20 maggio 2014.
L’intervento della Cassazione
La causa approda al vaglio della Corte di Cassazione, che respinge in toto.
Secondo la donna, la Corte di appello avrebbe errato addossando l’onere di provare il nesso causale al creditore della prestazione professionale e del correlato credito risarcitorio, invece dell’obbligo di allegare solo l’inadempimento, facendo residuare a carico della parte convenuta, azienda ospedaliera, il solo onere di dimostrare l’impossibilità sopravvenuta della stessa corretta prestazione, laddove, dalla consulenza tecnica officiosa percipiente, era emersa la sussistenza del rapporto eziologico in relazione alla pratica terapeutica di bendaggio in luogo di quella della riduzione della frattura.
Ed ancora, la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che alla paziente era stato praticato il bendaggio immobilizzante invece della riduzione della frattura con corretto riposizionamento dei frammenti omerali, senza previa informazione e consenso della paziente, in particolare in ordine alle alternative terapeutiche esistenti, con erroneo riparto dell’onere probatorio e al contempo mancato utilizzo delle correlate presunzioni, posto che il fatto stesso che la paziente si era poi rivolta al reparto di Chirurgia dell’Ospedale di Bologna attestava che, se adeguatamente e tempestivamente resa edotta, avrebbe accettato l’intervento chirurgico.
Tutte le censure risultano infondate.
Danno iatrogeno e autodeterminazione
È stato ormai del tutto chiarito che il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato).
Questo significa che, ove sia dedotta la responsabilità del sanitario per l’inadempimento della prestazione, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione, con la conseguenza che l’incertezza sul primo ciclo causale ricade sulla parte istante (Cass., 11/11/2019, n. 28991, e succ. conf.; v. già prima Cass., 26/07/2017, n. 18392, discussa in ricorso).
Ciò è del tutto granitico nell’attuale assetto della responsabilità medica
La Corte di appello ha chiaramente – e correttamente – spiegato che:
- a) non era stata superata l’obiezione secondo cui il tipo di frattura, indipendentemente dalla scelta terapeutica, ovvero anche in caso d’intervento chirurgico iniziale, avrebbe comportato postumi permanenti quali la sindrome algodistrofica in concreto lamentata dalla deducente.
- b) Non vi era stata analitica replica all’ulteriore osservazione secondo cui la sublussazione della testa omerale rilevata all’ultimo controllo svolto presso l’ospedale di Mestre, il 20 maggio 2014, che secondo la consulenza tecnica d’ufficio avrebbe dovuto condurre ad effettuare la riduzione chirurgica, era «una conseguenza dell’immobilizzazione e del trauma stesso, determinante un’inattività muscolare di difesa dal dolore, fenomeno astrattamente e potenzialmente verificabile anche in caso di intervento chirurgico ed eliminabile con la riabilitazione e il recupero della forza del deltoide”.
- c) Lo stesso CTU neppure aveva replicato alle osservazioni del CTP della convenuta secondo cui l’indicazione chirurgica presupponeva una certa angolazione minima dei monconi e una scomposizione dei frammenti superiore al centimetro, non dimostrate, anche tento conto del fatto che non potevano compararsi, per diversa proiezione, le iniziali radiografie e quelle del 20 maggio 2014.
- d) la conclusione del consulente d’ufficio secondo cui l’intervento chirurgico in luogo della effettuata terapia conservativa avrebbe prodotto risultati migliori, si era palesata contrastante con la letteratura scientifica esibita dalla controparte ma citata anche dal perito giudiziale, secondo cui anche fratture più gravi e complesse di quella in esame avevano gli stessi esiti sia funzionali che sul dolore quando trattate chirurgicamente ovvero conservativamente.
L’esame delle risultanze dell’istruttoria non è sindacabile in Cassazione
La Corte territoriale ha correttamente ritenuto che sarebbe stata la parte ricorrente, ovverosia la paziente, a dover allegare e anche provare che avrebbe optato per il diverso intervento chirurgico, senza che vi sia alcuna violazione dell’art. 2697, cc.
Ad ogni modo, l’esame delle risultanze dell’istruttoria non è sindacabile in Cassazione, ma anche perché non viene specificatamente censurata l’affermazione della Corte di appello secondo cui la parte non aveva neppure “allegato [prima che dimostrato] che, in presenza d’informazioni sulle possibili scelte terapeutiche, conseguenze o esiti imprevisti del trattamento, avrebbe rifiutato l’intervento [praticato] o si sarebbe predisposta ad accettarne più serenamente le conseguenze e le sofferenze”.
Per tali ragioni, la Cassazione rigetta il ricorso, con conferma del secondo grado e condanna alle spese di giudizio.
Avv. Emanuela Foligno