Respinto il ricorso di un uomo che chiedeva la revoca dell’assegno divorzile in favore della moglie eccependo che quest’ultima fosse in grado di lavorare e raggiungere l’autosufficienza economica
Con l’ordinanza n. 18522/2020 la Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso di un uomo contro il respingimento, in sede di merito, della domanda di revoca dell’assegno divorzile dell’importo di Euro 400 mensili, disposto in favore della ex moglie con la sentenza definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Nel rivolgersi alla Cassazione il ricorrente eccepiva che la Corte territoriale avesse omesso di valutare la possibilità della donna di ricercare un lavoro, essendone abile. Deduceva, inoltre, che il contributo di mantenimento divorzile non deve essere “un beneficio a vita” e non può tradursi in un’entrata economica di privilegio, ove l’ex coniuge beneficiaria sia in grado di lavorare, comunque incombendo in capo a quest’ultima l’onere di provare l’impossibilità di trovare un’occupazione lavorativa. Infine, a sostegno della propria pretesa, richiamava una precedente pronuncia di legittimità (sentenza n. 789/2017) evidenziando come la sua situazione economica fosse aggravata dall’esistenza di figli avuti con un’altra donna.
I Giudici Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto il ricorso inammissibile.
Le censure non si confrontavano, infatti, con l’iter argomentativo principale espresso dalla Corte territoriale, secondo il quale l’uomo non aveva allegato fatti sopravvenuti alla sentenza divorzile, con cui era stato disposto l’assegno di mantenimento. Inoltre l’ex coniuge aveva dimostrato di essersi attivata, ma senza successo, nella ricerca di un lavoro stabile (accettando lavori a termine e partecipando a concorsi) che le consentisse di raggiungere l’autosufficienza economica”.
Dal Palazzaccio hanno poi ritenuto non pertinente il riferimento alla sentenza n. 789/2017 della Cassazione, nella quale, anzi, si afferma che il diritto alimentare del coniuge beneficiario non è recessivo rispetto a quello dei nuovi figli e che “l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche”.
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