Rimozione del prepuzio provoca impotenza (Tribunale Reggio Calabria, Sentenza 1337/2022 pubblicata il 29/11/2022).

Rimozione del prepuzio in paziente affetto da fimosi, causa impotenza.

Il paziente cita a giudizio l’Azienda Ospedaliera ove veniva ricoverato in data 25.06.2014, in quanto affetto da  fimosi e deduce di essere stato sottoposto a intervento  di  circoncisione.

Nella tarda serata del giorno dell’intervento veniva praticato d’urgenza ulteriore intervento per toilette chirurgica-emostasi, a causa dell’insorgere di un ematoma penino  sanguinante che richiedeva il posizionamento di un drenaggio aspirante penieno,  la  chiusura della breccia prepuziale e l’applicazione di un catetere vescicale.

Dopo due giorni venivano asportati sia il catetere che il drenaggio e il paziente veniva dimesso con diagnosi “buone condizioni cliniche”.

Successivamente aveva contezza di disfunzione erettile nonché di forti dolori e perdite    ematiche.

In  data  22.09.2014 veniva accertata la presenza di un cheloide ipertrofico dolente  in  sede balano-prepuziale; il 30.09.2014  all’esito  del  FIC  Test e dell’Ecocolordoppler  Penieno Dinamico veniva riscontrato anche un deficit erettile arteriogeno di grado medio.

Per tali ragioni l’uomo deduce la responsabilità della Struttura Sanitaria avendo  la rimozione del prepuzio compromesso la sua integrità psico-fisica causando sia un danno biologico, che impotenza.

Preliminarmente il Tribunale inquadra la vicenda nell’alveo della normativa Balduzzi, e dunque nella responsabilità di natura contrattuale.

Nel merito, non viene ritenuta provata la responsabilità dedotta dall’attore per difetto di     prova circa la specifica condotta colposa dei sanitari.

Il paziente ha allegato che, affetto da fimosi veniva ricoverato e sottoposto  ad intervento chirurgico di circoncisione (rimozione del prepuzio) e che, verso le ore 22:30 dello stesso   giorno, a causa di un ematoma penino sanguinante veniva rioperato d’urgenza per toilette chirurgica- emostasi.   

Dalla cartella clinica risulta che l’intervento chirurgico di circoncisione aveva avuto una   complicazione per l’insorgenza di un ematoma del prepuzio che ha richiesto un intervento di svuotamento dell’ematoma.    

Il CTU, dopo avere osservato, sull’esistenza della complicanza,    che   “ il primo  intervento del  25 giugno 2014 (ore 15;00/15,25) di circoncisione in anestesia locale, che  sembrerebbe essersi svolto senza alcuna descritta complicanza, non è stato descritto, mentre il secondo, eseguito  nelle ore successive per trattare la complicanza registrata quale ematoma penieno, è stato  descritto  in merito alla tecnica utilizzata (Toilette chirurgica con asportazione dell’ematoma penieno ed emostasi. Posizionamento di drenaggio aspirante penieno, chiusura  della  breccia prepuziale. Catetere vescicale), è certamente evidente  come  un intervento di minima portata si sia complicato, sebbene in maniera non grave, con una complicanza della quale è possibile ipotizzare  due cause: 1.Difetto di emostasi, 2.Scorretta gestione della terapia anticoagulante di base relativa al pregresso intervento cardiochirurgico.”

Il CTU ha inoltre evidenziato: “L’intera vicenda, salva la parte documentale relativa      all’intervento  chirurgico, lascia numerose significative perplessità. È evidente come l’approccio clinico e chirurgico alla problematica sia stato corretto sotto il profilo clinico, ma quanto meno superficiale e frettoloso sotto quello delle dinamiche e buone prassi   ospedaliere (ne fa evidenza la minima compilazione della cartella clinica), oltre che gravato da una complicanza obiettivamente rara, stante la semplicità dell’atto chirurgico, ma verosimilmente ricollegabile ad un trattamento anticoagulante in corso per esiti di cardiochirurgia coronarica non adeguatamente documentato e, di conseguenza, valutato.  La rilettura dell’intera vicenda, evidenzia la normalità degli esiti cicatriziali, quali non potevano essere apprezzati nei mesi immediatamente precedenti, mentre rimane avvolta in un’alea di dubbio l’intera problematica del nesso di causalità legato alla riferita impotentia coeundi ed i conseguenti collegati danni relazionali. Appare allo scrivente,   infatti, oltremodo artificioso porre in correlazione una problematica complessa quale descritta con gli esiti a distanza dell’atto chirurgico, meglio comprensibili in una prima fase, ma non certamente adesso a quadro clinico stabilizzato e compatibile con gli esiti dell’intervento, che peraltro non ha interessato il tessuto strutturale del pene (o c.d. corpi cavernosi) e si è limitato ad un approccio esterno e di necessità sulla rimozione del   prepuzio. Non si ravvede, di conseguenza, nesso di causalità organico nei termini della  citazione, fra l’intervento e la richiamata impotentia coendi, mentre è quantificabile il   danno conseguente le complicanze del intervento stesso, facilmente evitabili se le  opportune attenzioni e precauzioni fossero state per tempo poste in essere.”

Ed ancora “Si conferma l’esistenza di un nesso eziologico tra la condotta professionale   dei sanitari e le lesioni lamentate . L’esame della documentazione in atti evidenzia la sottovalutazione del trattamento anticoagulante cui lo stesso era sottoposto in esiti di cardiochirurgia e la conseguente formazione di ematoma penieno il cui trattamento ha richiesto reintervento chirurgico. L’evento in sé è da considerarsi assolutamente eccezionale in siffatto intervento, spesso ambulatoriale. La sua portata, nel caso di specie, desumibile dalle misure poste in atto dall’operatore in urgenza (drenaggio, catetere vescicale), rendono contezza della sua significatività, e, di conseguenza, del vissuto del paziente in esiti.; La compilazione al minimo della cartella   clinica rende evidente come nell’assenza di riferimenti alla terapia anticoagulante   in esiti a trattamento cardiochirurgico sia evidente una carenza di base di ordinaria diligenza. E ipotizzabile come una più attenta emostasi nel primo intervento contestualizzata ad una maggiore verifica dei parametri coagulativi ed alla relativa terapia avrebbe potuto evitare la formazione dell’ematoma da cui il secondo intervento in urgenza.”

Alcune delle conclusioni del  C.T.U.  non vengono condivise dal Giudice.

Il CTU ha considerato come l’approccio clinico e chirurgico alla problematica sia stato corretto sotto il profilo clinico, aggiungendo poi, senza fornire spiegazioni mediche e scientifiche, che lo stesso è risultato gravato da una complicanza obiettivamente rara, stante la semplicità dell’atto chirurgico, ma verosimilmente ricollegabile ad un trattamento anticoagulante in corso di cardiochirurgia coronarica non adeguatamente documentato e, di conseguenza, valutato.

In secondo luogo, il CTU dapprima ha affermato che il primo intervento si è svolto senza    complicanze, salvo poi qualificare il secondo atto come intervento posto  in essere per   porre rimedio ad una  complicanza  definita  obiettivamente  rara,  stante la semplicità    dell’atto chirurgico, allega letteratura scientifica dalla quale si evince che in caso di intervento di circoncisione il rischio emorragico è intermedio.

Infine, il Consulente, osservando come l’intervento non abbia interessato il tessuto     strutturale del   pene, limitandosi ad un approccio esterno e di  necessità  sul  prepuzio, ha  escluso categoricamente il nesso di causalità fra gli interventi e la riferita impotentia  coeundi  ed i  collegati  danni relazionali, asseritamente causati dal cheloide ipertrofico, come dedotto dall’attore.

In definitiva, alla luce di quanto sopra e dei principi giurisprudenziali secondo cui la causa incerta rimane a carico del paziente, che rimane tenuto a provare il nesso di causalità, il Tribunale respinge la domanda.

§ § §

A parere di chi scrive, ed a prescindere dai contenuti confusi e contraddittori della espletata C.T.U. che appaiono nella sentenza, la decisione resa è del tutto conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di doppio ciclo causale e causa incerta.

L’onere della prova va modulato sulla cosiddetta scomposizione del ciclo causale in due elementi.

1. Spetta al paziente provare il nesso causale tra l’insorgere della patologia e la condotta del medico

2. Laddove il paziente abbia dato prova di tale ciclo causale, il Sanitario deve provare il pieno rispetto delle leges artis o comunque delle best practices, evidenziando la causa non imputabile che gli ha reso impossibile fornire la prestazione corrispondente ai canoni di professionalità dovuti.

Ergo, nel caso rimanga incerta la causa del danno lamentato, la domanda risarcitoria del paziente deve essere rigettata, non avendo il paziente, a monte, provato il nesso causale tra l’insorgere della patologia e la condotta asseritamente errata.

Il paziente non ha dedotto, né allegato, quale sia stato l’errore materiale compiuto dai Sanitari.

Avv. Emanuela Foligno

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