Per la Cassazione la norma contenuta nel codice civile ha una funzione di mera ripartizione interna tra i coobbligati rispetto alla somma dovuta a titolo di risarcimento

Che accade quando la vittima dell’evento lesivo evoca in giudizio soltanto uno dei soggetti che hanno concorsualmente contribuito a determinare il pregiudizio?

La Cassazione con l’ordinanza numero 2066/2018, ha preso in considerazione una fattispecie che, di sovente, ci si trova ad affrontare in sede processuale quando si parla di risarcimento.

Ci riferiamo al caso in cui i danni cagionati alla  vittima di un evento lesivo sono riconducibili a una pluralità di autori e il fatto storico è addebitabile, quindi, alla condotta colposa di  una molteplicità di danneggianti.

Che accade quando la vittima dell’evento lesivo evoca in giudizio soltanto uno dei soggetti che hanno concorsualmente contribuito a determinare il pregiudizio? In passato si era ritenuto che, laddove fosse emerso in corso di causa che il convenuto era corresponsabile solo in parte del danno cagionato all’attore, allora la condanna del primo poteva essere integrale ricorrendo una ben precisa, e irrinunciabile, condizione: e cioè a patto che, fin da principio, l’attore avesse esplicitato, nelle conclusioni del proprio atto introduttivo, una domanda con la quale egli si rifaceva espressamente a quanto preveduto dall’articolo 2055 del codice civile. Come noto, siffatta norma così recita: “Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali”. Essa prevede quindi che, in ipotesi di pluralità di autori di un fatto illecito, tutti siano da considerarsi corresponsabili dell’integralità delle relative conseguenze. In altri termini, il danneggiato potrà chiedere il cento per cento del ristoro dovuto a ciascuno dei diversi responsabili indipendentemente dalla graduazione delle rispettive colpe; ferma restando la possibilità –  per il soggetto condannato a risarcire l’intero –  di rivalersi in via di regresso nei confronti dei corresponsabili.

Nella vicenda in esame, l’attore era rimasto vittima di un caso di malasanità. Egli, infatti, aveva chiesto il risarcimento del danno per perdita pressoché completa della vista dovuta all’omessa, tempestiva somministrazione di una terapia finalizzata alla cura della ipertensione endocranica.

Il tribunale adito aveva accolto la domanda formulata nei confronti di una sola struttura ospedaliera e soltanto nella misura percentuale corrispondente al grado di corresponsabilità accertata in sede di consulenza tecnica d’ufficio (precisamente, per un importo pari al dieci per cento del pregiudizio totale). La pronuncia era stata impugnata avanti alla Corte d’Appello e i giudici di secondo grado avevano ritenuto di non poter accogliere la domanda di parte appellante nella sua globalità: era stato infatti accertato, nel corso del giudizio di merito, che responsabile non era da reputarsi solo la struttura ospedaliera effettivamente convenuta in giudizio, ma anche i medici di un altro ospedale non parimenti citati in causa. Questi ultimi, in particolare, si erano astenuti dall’effettuare un doveroso trattamento anticoagulante e dunque avevano contribuito all’ingenerarsi della patologia in concorso con i sanitari della azienda ospedaliera destinataria delle pretese attore. Tuttavia, poiché l’attore non aveva agito ab initio richiamando l’articolo 2055 del codice civile, ma si era limitato a evocare tale norma giustappunto (e solo) in sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, la Corte d’appello aveva ritenuto tardiva la formulazione e, pertanto, non aveva modificato il contenuto della sentenza di primo grado.

La Corte di Cassazione, per contro, ha accolto in pieno il ricorso della vittima rifacendosi a un suo precedente del 1997, vale a dire a una sentenza del 26 maggio di quell’anno, la numero 4.659 nella quale veniva enunciato il seguente principio: “Nell’azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., la causa petendi è rappresentata dall’illiceità del fatto allegato e dall’imputabilità del medesimo alla parte evocata in giudizio. La prospettazione dell’eventualità che il fatto stesso sia ascrivibile pure a soggetti diversi, e che quindi l’obbligazione risarcitoria del convenuto discenda da responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2055 c.c., non solo non tocca il petitum, dato che la qualità di unico obbligato o di coobbligato non incide sulla debenza dell’intera prestazione, ma nemmeno interferisce sulla causa petendi, tenendosi conto che la posizione debitoria del convenuto stesso rimane ancorata alla sua veste di autore (con dolo o colpa) dell’illecito, indipendentemente dalla circostanza che questo sia causalmente riferibile anche al comportamento di altre persone”.

In buona sostanza, la Corte di Cassazione ha ritenuto che un soggetto il quale evochi in giudizio uno solo dei coautori di un fatto produttivo di danno abbia diritto a ottenere l’integrale risarcimento da quest’ultimo a prescindere dal fatto che, nelle conclusioni dell’atto introduttivo, sia stato richiamato l’articolo 2055 c.c.; infatti, quella norma ha una funzione di mera ripartizione interna tra i coobbligati rispetto alla somma dovuta a titolo di risarcimento. Ne discende che il danneggiato può direzionare la propria azione giudiziaria anche contro uno solo dei diversi coautori del fatto illecito, ma ciò non involge una rinuncia, neppure implicita, alla solidarietà tra il soggetto evocato in giudizio e tutti gli altri corresponsabili del danno. Ne consegue altresì, per i medesimi motivi, che la domanda con la quale la vittima abbia avanzato un’istanza di risarcimento integrale nei confronti di uno solo tra i soggetti i quali abbiano concorso a determinare l’evento lesivo può essere considerata comunque e sempre formulata ex art. 2055 c.c.; e ciò anche quando il prefato articolo non sia stato esplicitamente menzionato nelle conclusioni formulate nei confronti di chi sia stato ritenuto, ab origine (magari errando) unico responsabile del danno.

Ergo, la domanda – quando sia ‘completata’ in sede di precisazione delle conclusioni con un richiamo espresso dell’articolo 2055 c.c. – non può considerarsi nuova sotto il profilo della causa pretendi: la caratteristica solidarietà dell’obbligazione da fatto illecito imputabile a più persone può venir meno solo nel caso in cui vi sia una espressa e specifica rinunzia, in tal senso, da parte del creditore danneggiato.

Avv. Francesco Carraro

(Foro di Padova)

 

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