Nonostante fosse in cura da un endocrinologo da anni, questi non si era accorto di un carcinoma follicolare della tiroide scoperto poi per caso. I due eredi della paziente deceduta impugnano la decisione della Corte di Appello di Bologna (sent.3492/2019) che confermava la responsabilità sanitaria per il quinquennio 1993-1998. Sentenza confermata anche dalla Suprema Corte (Cassazione Civile, sez. III, 01/03/2024, n.5609).
I fatti
Nel 2005 la paziente citava a giudizio l’endocrinologo deducendo che il professionista, che l’aveva in cura dal 1982 e la sottoponeva a periodici controlli della tiroide e delle ghiandole connesse, non si accorgeva della presenza di un carcinoma follicolare della tiroide, asintomatico, scoperto per caso dall’attrice nel 1998, a seguito di un incidente sugli sci, quando la malattia era già in stato avanzato, con diffusione di metastasi ossee fino al bacino.
Il Tribunale accertava una responsabilità sanitaria, circoscrivendola al periodo dal 1993 al 1998, anni durante i quali la paziente non era più sottoposta agli esami periodici che avrebbero consentito di individuare per tempo il degenerare del gozzo tiroideo, diagnosticato inizialmente, nella patologia tumorale. I giudici, quindi, riconoscendo in favore della paziente un risarcimento per perdita di chance di guarigione liquidato in 16.000 euro, sulla base di un criterio equitativo puro.
Il ricorso in Corte di Appello
La Corte d’Appello di Bologna, previa rinnovazione della CTU (in cui era inserita una richiesta specifica al consulente di individuare “elementi utili a determinare un più preciso parametro di valutazione medico-biologico”), rigettava l’impugnazione principale della paziente, volta esclusivamente a contestare l’esiguità del quantum, ed anche l’impugnazione incidentale del Medico. Confermava la responsabilità professionale di quest’ultimo per perdita di chance di sopravvivenza in capo alla paziente, legate alla mancata diagnosi della patologia nel quinquennio 1993-1998.
Il giudizio di rigetto della Cassazione
Viene censurata la sentenza che non avrebbe tenuto conto delle risultanze della CTU d’appello, disposta proprio per approfondire l’esito della valutazione tecnica eseguita in primo grado. La detta seconda CTU quantificava la perdita di chance nella misura del 50% delle chance di sopravvivenza, (che contestualizzava in un periodo di differenziale di 7 anni di vita rispetto alle ulteriori aspettative di vita della donna, defunta a 77 anni per una serie di cause), tenuto conto della evoluzione della malattia, della comorbilità e dell’età della vittima al momento del decesso. Di tutto questo non si era tenuto alcun conto in sentenza, che si era limitata a richiamare la CTU di primo grado e la valutazione del primo Giudice sulla quantificazione del danno, ritenuta congrua pur essendo totalmente priva di un ancoraggio alla fattispecie concreta.
Le censure non colgono nel segno. La situazione clinica della donna ha avuto, come osservato dalla Corte d’Appello, una evoluzione “lenta e subdola”. La paziente era in cura dall’Endocrinologo fin dall’anno 1982 per la presenza di un gozzo alla tiroide. Solo nel 1998, a seguito degli accertamenti per un incidente sportivo veniva scoperta la presenza di un carcinoma follicolare della tiroide con metastasi ossee al bacino, che tuttavia è stato ben tenuto sotto controllo attraverso terapie adeguate e nonostante il sopraggiungere di altre gravi patologie negli ultimi anni di vita, fino al 2016, anno della morte.
Escluso il nesso causale tra condotta del medico e insorgere del carcinoma
Entrambi i Giudici di merito, basandosi anche sugli approfondimenti tecnici eseguiti dai rispettivi Consulenti, hanno escluso un nesso casuale – sulla base del criterio probabilistico del più probabile che non – tra il comportamento poco diligente addebitato all’Endocrinologo che l’aveva in cura dal 1982 per la tiroide (consistente nel non aver curato il monitoraggio della situazione della paziente a mezzo di esami di approfondimento nel quinquennio tra il 1993 e il 1998), e l’insorgere del carcinoma.
In modo particolare, i Giudici di Appello hanno confermato, sulla base dei dati acquisiti, l’impossibilità di stabilire il momento esatto dell’insorgere del tumore follicolare ed hanno evidenziato che “solo la biopsia ossea e il successivo esame istologico avevano potuto mettere in relazione le metastasi, la cui presenza era stata accertata nel bacino della signora nel 1998, con la tiroide”, e dunque non si trattava di un normale esame di monitoraggio periodico cui sottoporre una paziente con problemi ghiandolari. Hanno comunque confermato una condotta negligente dell’Endocrinologo consistente nel non avere seguito adeguatamente la paziente nel periodo dal 1993 al 1998, limitandosi a consigliarle di sottoporsi a controlli periodici con dosaggi ormonali.
Quadro clinico articolato e complesso
A fronte di ciò, ricostruito un quadro clinico articolato e complesso, all’interno del quale neppure le due CTU hanno dipanato i tanti elementi di incertezza connessi alla data di insorgenza e all’evoluzione della patologia, la Corte di Appello, correttamente, liquidava un danno non patrimoniale, che qualificava in termini da danno da perdita di chance, conseguente al comportamento poco diligente dell’Endocrinologo, nella misura accertata, concordando sulla liquidazione equitativa eseguita dal Giudice di primo grado.
Le censure risultano infondate anche a volerle prendere in considerazione laddove contestano la legittimità della decisione di merito per non essersi il Giudice d’Appello conformato alle valutazioni del proprio CTU, ed anzi per essersene discostato senza motivo.
Al riguardo la S.C. rammenta che non è censurabile per violazione di legge (art. 1226 c.c.) la decisione di Appello che, nell’effettuare la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale riportato dalle vittime, dirette o riflesse, in conseguenza del pregiudizio alla salute subito da una persona, non si sia conformato alle indicazioni fornite in proposito dal Consulente tecnico d’ufficio.
Avv. Emanuela Foligno