La valutazione del danno patrimoniale da lucro cessante per la vittima di un incidente deve tenere conto di tutte le retribuzioni che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro
“Laddove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare, a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che egli abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel guai caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione”.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 28071/2020 pronunciandosi sul ricorso presentato da un lavoratore che aveva agito in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti in occasione di un incidente stradale nei confronti del conducente del veicolo che lo aveva investito mentre era alla guida della sua bicicletta), nonché del proprietario di detto veicolo e della Società assicuratrice.
Il Tribunale aveva accolto la domanda attorea liquidando in favore del danneggiato l’importo di Euro 272.245,17, in aggiunta agli acconti già corrisposti dalla compagnia prima della decisione, oltre accessori.
La Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva condannato i convenuti a pagare al ciclista gli ulteriori importi di Euro 50.312,80, a titolo di danno non patrimoniale, e di Euro 29.895,83, a titolo di danno patrimoniale da lucro cessante, oltre accessori.
L’uomo tuttavia si rivolgeva alla Suprema Corte sostenendo che erroneamente la corte di appello, nel liquidare in suo favore il danno patrimoniale, dopo aver calcolato l’importo delle retribuzioni e degli altri emolumenti perduti a causa del licenziamento, non glielo aveva riconosciuto integralmente, ma solo nella misura di un terzo, cioè nella misura pari alla menomazione della sua capacità lavorativa accertata dal consulente tecnico di ufficio.
I Giudici Ermellini hanno ritenuto fondato il motivo del ricorso. Il ricorrente, infatti, risultava avere perduto il suo impiego a tempo indeterminato in conseguenza del danno subito a causa dell’incidente, in quanto, a causa dei relativi postumi, aveva superato il periodo di comporto ed era stato licenziato senza riuscire a reperire un’altra occupazione.
Il danno patrimoniale relativo alla sua “perdita reddituale” avrebbe, quindi, dovuto essere liquidato sulla base dell’importo (eventualmente capitalizzato) delle retribuzioni che avrebbe conseguito in virtù del suo preesistente rapporto di lavoro, se non fosse stato licenziato a causa delle lesioni riportate nel sinistro, fino alla data della pensione, oltre che degli assegni familiari, della perduta possibilità di progressione in carriera e del danno pensionistico.
Di conseguenza, la percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica conseguente all’incidente, riconosciuta dal consulente tecnico di ufficio nella misura del 33% (che peraltro, sommata alla precedente invalidità dell’attore, risulterebbe avere determinato una invalidità complessiva del 75%), non poteva avere in concreto alcun rilievo ai fini della liquidazione del danno patrimoniale.
Il Giudice a quo aveva quindi violato l’art. 1223 c.c., non essendo stato riconosciuto al danneggiato l’intero pregiudizio subito in concreto, pregiudizio che, nella specie, consisteva nella perdita dei redditi (in parte futuri) derivanti dal rapporto di lavoro dipendente di cui era titolare, venuto meno in conseguenza del fatto illecito del convenuto. Né potrebbe sostenersi –hanno precisato dal Palazzaccio – che il danneggiato avrebbe dovuto dimostrare che non era possibile per lui reperire un’altra attività lavorativa. Avrebbe infatti dovuto essere il danneggiante a dimostrare, eventualmente, che il danneggiato aveva trovato un nuovo impiego, secondo i principi generalmente affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di danno derivante da licenziamento.
La redazione giuridica
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