La diagnosi di mediastinite settica non viene formulata dai sanitari della Struttura riabilitativa per incompletezza delle indagini cliniche strumentali (Tribunale di Roma, sentenza n. 18649/2020 del 29/12/2020, Giudice Dott. Cisterna)

Gli attori citano a giudizio l’Ospedale e la Clinica di riabilitazione onde vederne accertata la responsabilità per il decesso del congiunto a causa di setticemia diffusa multi organo post-operatoria. Deducono: che in data 6.10.2014 il congiunto veniva ricoverato per dispnea notturna attribuita dal personale medico sanitario ad una disfunzione cardiaca; che gli esami ematologici del paziente avevano evidenziato un costante superamento dei valori di globuli bianchi, PCR, VES, Fibrinogeno; che, malgrado questi valori alterati, il paziente veniva in data 24.10.2014 , sottoposto ad intervento chirurgico per la “sostituzione valvolare aortica con bioprotesi sorin crown n. 23, anuloplastica riduttiva initralica con anello mcd troriic future band 30 mm e singolo by pass nortocoronarico con vena safena su coronaria dx” ; che dopo 5 giorni, in data 29.10.2014, pur in presenza dei medesimi valori ematologici alterati veniva trasferito presso la Casa di cura per un percorso riabilitativo post intervento chirurgico affrontato; che il paziente aveva da subito accusato un forte dolore in corrispondenza della ferita chirurgica e nella zona intra-scapolare, come più volte riferito al personale medico ed infermieristico della Casa di cura; che, tuttavia, il medesimo personale medico ed infermieristico, più volte interrogato dai congiunti attribuiva la natura dei suddetti patimenti ad una scarsa sopportazione del dolore e al rifiuto immotivato dello stesso di sottoporsi ai trattamenti fisioterapici; che, dopo circa tre settimane di degenza presso la citata clinica in assenza di trattamenti farmacologici e fisioterapici ed a causa di un progressivo peggioramento delle condizioni psico-fisiche, i figli in data 22 .11 .2014 lo prelevavano; che, tuttavia, persistendo un forte dolore nella zona toracica, il medesimo giorno, e precisamente nella notte tra il 22.11.2014 ed il 23.11.2014 il paziente veniva portato al Pronto Soccorso ove accertavano una grave setticemia; che, per tale ragione , veniva immediatamente trasferito a mezzo del 118 presso altra Struttura con codice rosso dove, in data 23.11.2014, eseguito un tampone veniva evidenziata va la presenza di Staphylococcus aureus Meticillino resistente con in corso un ‘infezione della ferita chirurgica e setticemia; che veniva sottoposto a consulenza infettivologica ove veniva prescritta la somministrazione di antibiotici per la setticemia ormai diffusa multi organo; che, i n data 24.11.2014, il paziente veniva sottoposto a intervento chirurgico di riapertura della ferita operatoria e trattamento con VAC; che dopo incessanti patimenti fisici e psichici, in data 13.12.2014, il paziente decedeva a causa della diffusa setticemia.

I congiunti, proponevano ricorso ex art. 696 -bis c.p.c. che veniva rigettato con compensazione delle spese.

La causa viene istruita attraverso prove testimoniali e CTU Medico-Legale, al cui esito il Tribunale ritiene la domanda fondata.

Il CTU ha ritenuto di convenire sul rilievo che le condizioni del paziente al momento dell’ingresso presso la Struttura fossero tali da rendere appropriata e giustificata la decisione di sottoporlo al successivo intervento per la sostituzione valvolare aortica.

“Il paziente – si legge nella perizia – evidenziava uno scompenso cardiaco dovuto ad una stenosi aortica di grado severo (in precedenza presentava una steno-insufficienza aortica di grado lieve) con insufficienza mitralica moderata, una severa disfunzione sistolica con frazione di eiezione al 30%, coronaropatia ostruttiva monovasale; infatti all’ecocardiogramma presenta un ventricolo sinistro dilatato (DTM = 60 mm), una FSG severamente depressa (F.E. = 30%), una stenosi aortica severa (con gradiente max di 75 mmHg), una insufficienza aortica di grado lieve, insufficienza mitralica lieve – moderata. A queste condizioni non può dubitarsi della correttezza e tempestività dell ‘approccio interventistico realizzato dai sanitari della struttura ad alta specializzazione ove il paziente era giunto proveniente dall’Anthea Hospital di Bari, dove era stato eseguito uno studio coronarografico ed era stata data indicazione, viste le comorbillità, a intervento di TAVI. L’intervento era eseguito in data 24.10.2014 ed era consistito in una plastica della valvola mitralica, in bypass aorto – coronarico su coronaria destra, e nel trattamento con protesi biologica della stenosi valvolare aortica. Il decorso post -operatorio apparso regolare. Dopo appena 5 giorni , essendosi stabilizzate le condizioni cardiocircolatorie , i sanitari del PTV avevano deciso di trasferire il paziente per un periodo di riabilitazione cardiorespiratoria, al termine del quale era già prevista una visita di controllo per il giorno 28 .11.20 14 presso l’ambulatorio di Cardiochirurgia del PTV. In dimissione presentava: «Hb: 8,4 g/dl, leucociti: 11.540/mmc, VES 76 mm/h, PCR: 255.03, Troponina: 17,1 ng/ml, GOT: 485 U/l. Alla radiografia del torace presenza di falda di versamento pleurico sinistro”…(..).. “all’ingresso gli indici di flogosi erano compatibili con un postoperatorio, tra gli esami strumentali erano eseguiti due radiogrammi del torace, un eco cuore ed una ecografia addominale, oltre agli esami ematochimici di routine”.

“Nel corso di questa seconda fase di degenza, il paziente in data 21.11 .2014 nel recarsi in bagno cadeva accidentalmente, in seguito alla caduta si lamentava di dolore in corrispondenza della ferita chirurgica che all’osservazione dei medici appariva deiscente. Peraltro nei giorni precedenti il paziente era caduto dalla sedia e dal letto in tre occasioni (15, 18 e 19/11). Era presa su iniziativa dei familiari la decisione di trasferire il paziente al Pronto Soccorso dell’ospedale, struttura per acuti in grado di effettuare i necessari accertamenti. Il de cuius arrivava all’ospedale con un peggioramento delle condizioni cliniche, in particolare il paziente era dispnoico, in oligo-anuria, aveva G.B. 56.000 e presentava i segni della deiscenza della ferita chirurgica. Alla TC eseguita in urgenza presentava deiscenza sternale e presenza di una raccolta fluida retrosternale extrapericardica e dei tessuti molli pre -sternali senza versamento pericardico. In particolare l’ascesso era di notevoli dimensioni (20 cm x 6,5 cm) e la raccolta si approfondiva fino al sacco pericardico. Il paziente veniva trasportato al P.T.V. ove lo stesso era stato operato; il peggioramento delle condizioni del paziente appare impressionante alla luce, anche, del tempo relativamente breve intercorso dall ‘arrivo presso la Clinica (29.10.2014 ) e il successivo ricovero in Albano che consente di avere una descrizione particolarmente precisa del quadro clinico. Il 23.11.2014 il paziente era ricoverato nuovamente al PTV con una diagnosi di ingresso di «Mediastinite ed infezione della ferita chirurgica », intendendosi per mediastinite un’infiammazione del mediastino (la cavità toracica che contiene cuore, timo, alcuni linfonodi, porzioni di esofago, aorta, tiroide e paratiroidi). Origina spesso da un’infezione. Le due cause più comuni di infezione sono: lacerazione dell’esofago; intervento di chirurgia toracica (mediante sternotomia mediana: complica circa il 2% degli interventi e può insorgere precocemente (entro 7 -10 giorni) o tardivamente (in 10 -30 giorni) dalla esecuzione dell’intervento). L’infezione dei profondi tessuti del mediastino comporta un’elevata mortalità, la cui incidenza varia tra il 14% e il 47 %. I fattori di rischio possono essere pre -operatori (diabete mellito, obesità, fumo e BPCO, età avanzata ed utilizzo di corticosteroidi); intra -operatori: durata dell’intervento, durata della circolazione extracorporea, ipotermia spinta o arresto di circo lo che determina una vasocostrizione e quindi un ridotto apporto di ossigeno al sito chirurgico, poliemotrasfusioni, interventi in emergenza…); post – operatori (degenza in Terapia Intensiva per un periodo maggiore di 5 giorni, utilizzo prolungato di inotropi che determinano vasocostrizione e relativa ipoperfusione al sito chirurgico, intubazione per un periodo maggiore alle 24 ore). Diagnosi clinica: presenza di segni clinici e di laboratorio sistemici (febbre, dispnea, tachicardia, leucocitosi neutrofila…) e locali (dolore toracico, instabilità sternale con o senza infezione o deiescenza dei tessuti superficiali)”.

“Le condizioni del reingresso ospedaliero presentavano 1) insufficienza respiratoria acuta 2) anemia 3) insufficienza renale acuta 4) setticemia”.

“In sede operatoria, al drenaggio dell’ascesso mediastinico mediante sternotomia e revisione della ferita chirurgica, la raccolta (risulta) di notevoli dimensioni (20cm x 6,5cm) si approfondisce fino al ridosso del sacco pericardico. La raccolta viene svuotata e viene fatta revisione della ferita chirurgica, il paziente in condizioni gravi viene tracheostomizzato e ventilato meccanicamente. La ferita viene in seguito trattata con VAC Therapy, il prelievo per la coltura effettuato sulla raccolta risulterà positivo per Staphilococcus Aureus meticillino -resi stente (MRSA)”.

“Del tutto correttamente i sanitari del PTV stilavano un certificato di morte che individuava la causa iniziale del decesso in una mediastinite settica, complicatasi con shock settico, e la causa terminale del decesso in un o Shock cardiogeno. La morte del paziente è da ricondursi in un circuito esclusivamente riconducibile, sia pure secondo gradienti diversi di responsabilità, alla condotta dei sanitari delle strutture convenute. Il dato di partenza, ossia da un punto di vista eziologico l’innescarsi della sequenza causale infausta, è da individuarsi nel troppo breve lasso temporale con cui il paziente (anni 73) venne mantenuto in osservazione presso il PTV. Le dimissioni dopo appena 5 giorni dall’esecuzione di un complesso intervento cardiochirurgico su un soggetto fragile ed esposto a quelle comorbilità avrebbe dovuto necessariamente indurre a maggiore prudenza e attenzione. L’intervento di cardiochirurgia era stato eseguito in data 24 .10 .20 14 con successo, ma il delicato e fragile paziente nonostante le numerose comorbilità da cui era affetto, non appena le condizioni cardiocircolatorie si erano stabilizzate, era trasferito in V giornata (29/10/14) presso la seconda Struttura senz’altro adatta per una riabilitazione cardiorespiratoria, ma non per cure intensive o sub intensive”.

Al riguardo del trasferimento post-chirurgico presso la Struttura riabilitativa, il Tribunale osserva che non è condivisibile la prospettazione di parte convenuta circa l’asserita consegna del paziente alla Struttura riabilitativa in condizioni stabili e sostanzialmente accettabili, posto che la complicanza post-operatoria che si è verificata (mediastinite settica) rappresentava un evento né imprevedibile, né inevitabile, alle condizioni date del paziente e avendo riguardo alla descrizione della patologia addotta dai CTU e non contestata.

Prosegue la CTU, riguardo la degenza presso la Struttura riabilitativa: “Qui infatti il de cuius era sottoposto al programma concordato ed era monitorato attraverso l’esecuzione di esami ematochimici e strumentali: radiografie del torace, ecocuore, eco addome. Tuttavia nei giorni precedenti il manifestarsi della mediastinite settica nonostante le difficoltà respiratorie non risulta adeguatamente monitorata la temperatura corporea, né si dava peso ai risultati dei prelievi di controllo, né risultano praticate emoculture. Ma circostanziamo queste affermazioni riportando i dati estrapolati dalla cartella clinica: già in data 30/10/14 all’emocromo sono presenti i seguenti tangibili indici di flogosi: G.B. 12.800 (riaumentati rispetto al post -operatorio del PTV ove erano 11.540) , PCR 167,7 (in discesa rispetto al PTV ma sempre con valore molto alto) , in data 13/11 abbiamo ancora all’emocromo 12.400 GB e PCR 14,7 (era stata iniziata terapia steroidea) , il 17/11 sempre all’emocromo sono presenti 12.900 GB e PCR 292,4, in data 22/11 abbiamo 25.300 Gb con il 78% di granulociti neutrofili e PCR 271,3. Dal punto di vista clinico già in data 13/11 è scritto in diaria che il paziente non ha riposato per la presenza di dolori in regione sternale, il 14/11 il paziente riferisce dolore sternale che si accentua con la digitopressione, viene prescritto un esame radiografico dello sterno, inutile, anziché una TAC del torace in considerazione degli indici di flogosi e del concreto sospetto di una complicanza in atto. In data 17/11 viene descritta persistente dispnea e fatica molto severa (i GB, come detto erano 12.900), il 19/11 la ferita sternale viene medicata e descritta come in ordine ma il paziente continua a lamentare dolore in tale sede. Erano effettuate Radiografie del torace in data 4, 14 e 19/11 e due ecocardiogrammi (il 4 e 19/11). Infine sarà la caduta accidentale a slatentizzare la deiscenza della sutura mediastinica con la condizione di sepsi dovuta alla presenza di una raccolta ascessuale, il de cuius arriva all’ospedale con 54.400 GB, dispnea e oligo -anuria in una condizione di setticemia. Al rientro presso il PTV viene confermata la grave leucocitosi neutrofila (GB 53.600, N 95%), PCR 465,8, il paziente presenta una tumefazione eritematosa lungo la cicatrice sternotomica (infezione della ferita chirurgica) ed una raccolta di dimensioni notevoli lungo il decorso dell’accesso chirurgico (20 cm x 6,5cm) da mediastinite con impronta sul sacco pericardico; la raccolta viene svuotata, ma già le sue condizioni appaiono gravi nel post -operatorio con necessità di eseguire una tracheotomia e di sottoporlo a ventilazione meccanica. La terapia antibiotica maggiore non riuscirà ad avere ragione dello shock settico in un soggetto ormai defedato che arriverà all’exitus in data 13/12/14 alle ore 13,30”.

“Si ritiene peraltro che imprudentemente il paziente sia stato dimesso in V giornata postoperatoria, essendo un uomo di anni 73 con difficoltà respiratorie da BPCO, anemico e con IRC (2.500.00 GR, Creatinina 2,00), senza una adeguata copertura antibiotica in un paziente sottoposto ad un intervento durato 4 ore e 20 minuti in circolazione extracorporea, trasferendolo in una struttura non idonea per una terapia sub intensiva quale era quella di cui necessitava l’anziano che non riusciva nemmeno a stare in piedi , come descritto dai fisioterapisti in cartella. Inoltre, come risaputo, la mediastinite, grave complicanza che si manifesta nel 2% degli operati in sternotomia, può insorgere o precocemente (7 -10 giorni) o tardivamente (10 -30 giorni), pertanto era quanto mai opportuno trattenere il paziente, defedato, almeno fino alla decima giornata monitorando gli indici di flogosi e il versamento pleurico, prima del trasferimento …..(..).. Le condizioni del paziente erano tali, in sede pre -operatoria, da dove imporre una particolare e appropriata cautela al momento delle dimissioni (broncopneumopatia cronica ostruttiva in ex tabagista, insufficienza renale cronica , diabete mellito , ipertensione arteriosa , fibrillazione atriale ), cautela senza dubbi o smentita dalla data di dimissioni e dall ‘insufficienza delle obiettività del paziente all ‘atto del diverso ricovero riabilitativo. Tant ‘è che la mediastinite ebbe come fattore favorente il suo istaurarsi senz’altro il diabete mellito e lo scompenso di cuore era sicuramente aggravato dalla BPCO”.

“Al de cuius quale profilassi per impedire le infezioni del sito chirurgico fu applicata una terapia di copertura con UNASYN; Si tratta, come è noto agli addetti ai lavori, di una associazione di Sultamicillina Tosilato (Sulbactam) con Ampicillina. Tale antibiotico protegge dalle infezioni di germi grampositivi e gram -negativi divenuti ampicillino -resistenti attraverso la produzione di Betalattamasi . Le fonti dei microrganismi patogeni sono rappresentate nella maggior parte dei casi dalla flora endogena colonizzante la cute del paziente, le membrane mucose e gli organi cavi. Si tratta solitamente di cocchi grampositivi aerobi (ad es. Stafilococchi), ma anche di flora fecale (batteri aerobi e gram – negativi aerobi), soprattutto quando l’incisione viene effettuata vicino al perineo e all’inguine . Le società scientifiche hanno ampiamente studiato e protocollato la scelta degli antibiotici non solo in base al rischio del singolo paziente ma anche in base al tipo di chirurgia (Cardiochirurgia, Chirurgia Toracica, Chirurgia intestinale etc.). Per la Cardiochirurgia l’antibiotico raccomandato è la Cefazolina . Qualora sia elevata la presenza di stafilococchi meticillino -resistenti gli antibiotici consigliati sono la Teicoplanina e la Vancomicina . Nel caso del de cuius trattandosi di un soggetto particolarmente a rischio infezione del sito chirurgico in quanto diabetico, anemico, con degenza ospedaliera preoperatoria, con trasfusioni peri -operatorie e con esiti di chirurgia protesica era necessario attenersi scrupolosamente alle raccomandazioni delle linee guida, L’ampicillina/sulbactam ha dimostrato nei lavori scientifici un’efficacia notevolmente inferiore nel ridurre le infezioni nel sito chirurgico rispetto ai farmaci sopra citati e possiamo affermare che l’uso di tale associazione si basi su un razionale teorico non suffragato da alcuna evidenza scientifica. Per concludere: come già detto nella stesura iniziale della perizia, non è che la copertura antibiotica non fosse stata praticata sul de cuius, ma che non fosse adeguata al caso specifico”.

I CTU hanno rilevato che la formulazione della diagnosi di mediastinite settica (complicanza) non venne posta dai sanitari della Struttura riabilitativa per incompletezza delle indagini cliniche strumentali.

Infatti, nonostante la presenza di chiari indici di flogosi e dei sintomi lamentati dal paziente non venne richiesta la TC torace, l’unico esame strumentale che avrebbe adeguatamente documentato la complicanza in essere (formazione di una raccolta ascessuale mediastinica), permettendo di trattare precocemente il paziente con idonea terapia.

Nei rilievi dei CTU alle osservazioni dei CTP viene evidenziato “nel complesso non sono stati correttamente interpretati tutta una serie di campanelli di allarme che sono ben documentati nella cartella clinica e che avrebbero dovuto indurre con sollecitudine i Sanitari della Struttura riabilitativa a prescrivere una Tac Torace anziché delle banali radiografie che mai avrebbero permesso la diagnosi della complicanza più temibile: la mediastinite. Veniamo nello specifico a rispondere in maniera più circostanziata: già in data 30 aprile i globuli bianchi erano 12.800, essi erano aumentati nuovamente rispetto al controllo post -operatorio fatto presso il PTV, ove erano 11.540, vuole la consuetudine clinica che i valori dei GB, tranne che il paziente non abbia una mielodisplasia, scendano costantemente e rapidamente dopo un intervento chirurgico andato a buon fine. Ancora in data 13 novembre troviamo 12.400 globuli bianchi che non avrebbero ragione di esistere, se non con la formazione di una raccolta flogistica o comunque una complicanza infettiva. Per quanto riguarda i valori della PCR questa dapprima discesa a 167,7 rispetto ai valori trovati presso il PTV, quindi in data 13/11 la PCR era 14,7 in concomitanza di una terapia steroidea iniziata dal de cuius, era poi risalita, tant’è vero che il 17/11 era arrivata all’enorme valore di 292,4. Parliamo ora della situazione clinica descritta in diaria, già dal 13/11 il paziente dichiara che non è riuscito a riposare per la presenza di importanti dolori in regione sternale, il 14/11 lo stesso paziente riferisce un dolore sternale che si esacerba alla digito – pressione, il 17/11 lamenta dispnea e fatica severa, dolore alla ferita, il 19/11 la ferita sternale viene medicata, descritta come in ordine ma il paziente, ancora una volta continua a lamentare dolore in tale sede. Quale la complicanza più prevedibile se non una mediastinite? La ferita poteva benissimo essere ancora in ordine se la raccolta ascessuale non si era fatta strada attraverso di essa come empiema necessitatis (ossia per effetto della dissezione, operata dal pus, attraverso i tessuti molli della gabbia toracica con possibile coinvolgimento cutaneo e formazione di tragitto fistoloso n.d.e.) ma non si poteva non tener conto del quadro di insieme. Avrebbe potuto la sola radiografia del torace consentire la giusta diagnosi? certamente no, l’unico esame era una Tac torace con contrasto ed era da eseguire con sollecitudine. Tutti i campanelli di allarme vennero invece sottovalutati, non si pensò alla complicanza più probabile omettendo di richiede l’unico esame che avrebbe permesso tempestivamente di fare la diagnosi corretta”.

Ciò posto, riguardo la ripartizione della responsabilità tra le due Strutture, i CTU hanno ravvisato “nella misura di 1/3 e di 2/3 e quello delle ridotte aspettative di vita del paziente che, probabilmente, andava incontro a morte in un periodo oscillante sui 24 mesi a causa della gravità delle polipatologie che lo affliggevano”.

Acclarato che il paziente, dunque, è stato in concreto privato della possibilità di vita a 2 anni si identifica una precisa e autonoma voce di danno non patrimoniale che si deve accertare se vada distinta, o meno dalla perdita di chance.

Al riguardo la Suprema Corte ha statuito: “Le stesse pretese si tramutano, di converso, in domanda di risarcimento tout court del danno da perdita anticipata del rapporto parentale, ove sia certo e dimostrabile, sul piano eventistico, che la condotta illecita abbia cagionato l’anticipazione dell’evento fatale, costituendo, in tale ipotesi, un evidente paralogismo l’evocazione della fattispecie della chance – fondato sull’equivoco lessicale indotto dalla locuzione “perdita della possibilità di vivere meglio e più a lungo, mentre l’evento di danno è specularmente costituito dalla perdita anticipata della vita e dall’impedimento a vivere il tempo residuo in condizioni migliori e consapevoli … Pertanto, nei casi in cui l’evento di danno sia costituito non da una possibilità – sinonimo di incertezza del risultato sperato – ma dal (mancato) risultato stesso, non di chance perduta par lecito discorrere, bensì di altro e diverso evento di danno (in ambito sanitario, la perdita anticipata della vita, rigorosamente accertata come conseguenza dell’omissione sul piano causale)”.

La circostanza che il paziente sarebbe comunque andato incontro a morte per le sue patologie ha un ‘incidenza, esclusiva, sul piano della determinazione del danno da lesione del rapporto parentale e del contenimento del risarcimento in ragione della prevedibile, inevitabile perdita del marito e del padre da parte degli attori entro 24 mesi.

Laddove, invece, l’evento letale non si ponesse quale certa conseguenza dell’azione colpevole , ma fosse incerto nella sua configurabilità atteggiandosi quale evento incerto causalmente collegato alla malpractice verrebbe in rilievo una perdita di chance sia in capo al paziente, trasmissibile iure hereditatis , sia in capo agli attori iure proprio quanto al rapporto parentale; perdita che, ovviamente, comporterebbe l’applicazione di parametri liquidatori equitativi di gran lunga inferiori a quelli invece connessi all’evento morte provocato in termini di ragionevole probabilità.

Il Tribunale liquida a titolo jure hereditatis l’importo complessivo di euro 104.645,20, a titolo jure proprio euro 137.293,80 in favore della moglie, ed euro 112.777,05 in favore di ciascuno dei figli.

In conclusione, il Tribunale di Roma, accoglie la domanda e condanna in solido i convenuti al pagamento degli importi liquidati, oltre alle spese di lite e di CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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