Se l’omicidio è preceduto da stalking culminato con la soppressione della vita della vittima, c’è l’aggravante e lo stalking non trova autonoma applicazione

La Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. III Penale, sentenza n. 30931 del 6 novembre 2020), enuncia un nuovo principio di diritto secondo cui il delitto di atti persecutori non trova applicazione autonoma qualora l’omicidio della vittima avvenga al culmine di molteplici condotte di stalking poste in essere precedentemente ai danni della stessa persona offesa. 

La vicenda approda alla sezione penale della Cassazione su impugnativa della decisione resa dalla Corte d’Appello di Catanzaro che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva l’imputato dal delitto di furto aggravato perché il fatto non sussiste e dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti per il reato di porto ingiustificato di coltello, in quanto estinto per prescrizione, rideterminando la pena e confermando la pronuncia nel resto, che riguardava l’affermazione della responsabilità penale dello stesso per i delitti di atti persecutori, sequestro di persona e violenza sessuale ai danni della compagna.

Avverso tale decisione, l’uomo impugna in Cassazione, lamentando la violazione del principio del ne bis in idem, in quanto già condannato per i delitti di atti persecutori (ndr stalking), con sentenza irrevocabile dalla Corte d’Assise di Cosenza.

Gli Ermellini ritengono fondate le doglianze dell’uomo.

Viene rilevato che la Corte d’Assise di Cosenza condannava l’uomo per il delitto di tentato omicidio ai danni della ex compagna, aggravato per i fatti di stalking.

Dopo avere rilevato la perfetta coincidenza fattuale e spazio-temporale tra i fatti di cui all’art. 612-bis c.p. contestati quali circostanza aggravante del tentativo di omicidio ex art. 576, comma 1, n. 5.1, c.p. e quelli di cui all’art. 612-bis c.p. intesi come fattispecie autonoma di reato, la Suprema Corte analizza se il delitto di omicidio aggravato, in relazione al quale il ricorrente veniva condannato in via definitiva, assorba, oppure no, il delitto di stalking, contestato nel processo in oggetto.

Si rinviene 1 solo precedente in materia, il quale ha dato risposta negativa al quesito, affermando il principio in base al quale «il delitto di atti persecutori non è assorbito da quello di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, comma 1, n. 5.1, c.p., non sussistendo una relazione di specialità tra tali fattispecie di reato».

La Suprema Corte, non condivide le argomentazioni dei Giudici di merito ed evidenzia che ciò che aggrava il delitto di omicidio non è il fatto che sia commesso dallo stalker in danno della vittima, ma che l’omicidio sia stato preceduto da condotte persecutorie che siano culminate, appunto, con la soppressione della vita della vittima.

A volere seguire l’impostazione dei Giudici di merito gli atti persecutori, quindi, sarebbero addebitati allo stalker per due volte: una come reato autonomo e la seconda come aggravante dell’omicidio.

Ciò è illogico ed errato.

Viene dunque affermato il seguente principio di diritto: «tra gli art. 576, comma 1, n. 5.1, e 612-bis c.p. sussiste un concorso apparente di norme ai sensi dell’art. 84, comma 1, c.p., e, pertanto, il delitto di atti persecutori non trova autonoma applicazione nei casi in cui l’omicidio della vittima avvenga al culmine di una serie di condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall’agente nei confronti della medesima persona offesa».

La decisione impugnata viene annullata senza rinvio con riferimento al delitto di cui all’art. 612 bis c.p.

Avv. Emanuela Foligno

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