Il camice bianco dovrà anche versare in solido con la struttura sanitaria una provvisionale di 320 mila euro alla paziente, privata di un organo unico e fondamentale per una errata diagnosi di carcinoma

Il Tribunale di Monza ha condannato a due anni di reclusione e altrettanti di interdizione dalla professione medica il primario di chirurgia generale di una struttura sanitaria lombarda, finito a processo con l’accusa di aver asportato “per errore” lo stomaco a una paziente di 53 anni, madre di due figli, dopo una errata diagnosi di carcinoma gastrico.

Il fatto risale al 2016. Secondo l’ipotesi accusatoria, il medico aveva proceduto all’esecuzione dell’intervento senza “attendere l’esito della biopsia eseguita”. Non solo, secondo quanto riportato nelle motivazioni della sentenza, non può che “sottolinearsi” la “vigliaccheria” del chirurgo che, “dopo aver visionato l’esito del primo e poi del secondo referto istologico”, non aveva avuto “il coraggio di riferire all’ignara paziente” che lei “non aveva mai sofferto di un carcinoma gastrico o di altre patologie tumorali”.

La donna, che in realtà soffriva di un’ulcera gastrica, dopo l’operazione era passata da 58 a 37 chili per la difficoltà ad alimentarsi. La sua denuncia aveva dato il via all’inchiesta sfociata nel rinvio a giudizio, per lesioni colpose gravissime, del professionista e di un’altra dottoressa intervenuta come secondo operatore, che invece è stata assolta.

Il Giudice ha anche condannato il chirurgo, in solido con l’ospedale, a risarcire la paziente, disponendo a suo favore una provvisionale di 320 mila euro; nel riconoscere la responsabilità del medico ha ritenuto infatti che la donna, “a soli cinquant’anni è stata immotivatamente privata di un organo unico e fondamentale come lo stomaco, vedendo irrimediabilmente compromesse le proprie condizioni di salute e di vita”.

L’imputato, che ha preannunciato ricorso in appello, sostiene, dal suo canto, di avere agito per il bene della paziente, che comunque “sarebbe morta senza quell’operazione” a causa di un “restringimento a clessidra” dello stomaco che poteva essere risolto solo con l’asportazione.

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