Il test del Dna, mediante il sequestro di oggetti contenenti residui organici, non essendo atto invasivo non richiede la cognizione dei soggetti interessati,
Con la sentenza numero 26374/2018, la seconda Sezione penale della Corte di Cassazione ha fornito precisazioni molto importanti in merito al test del Dna.
Per i giudici, infatti, l’indagato ed il suo difensore non vengono avvisati nel caso in cui vi sia la necessità di rifare il test del DNA. E ciò in quanto trattasi di esame ripetibile.
Insomma, il test del Dna, per la Cassazione, non essendo un atto invasivo non richiede la cognizione dei soggetti interessati.
Un principio già sancito dalla giurisprudenza di legittimità con un orientamento del 2005 (sentenza n. 8393/2005).
Non solo.
Una pronuncia della Corte (la n. 2999/1993) evidenzia che rientrano nella nozione di accertamenti tecnici non ripetibili soltanto quelli rispondenti a certi requisiti.
Ovvero, quelli aventi ad oggetto individui, cose o luoghi soggetti a modificazioni tali da far perdere le loro caratteristiche in tempi brevi ai fini probatori.
In virtù di questo, l’identificazione del Dna della persona comporta un certo tipo di attività. Essa può qualificarsi come ripetibile o irripetibile, in base alla possibilità di distruzione o grave deterioramento dei campioni usati.
Dunque, per gli Ermellini, “se l’estrazione del profilo genetico dal materiale biologico proveniente dall’indagato è attività ripetibile, nessun avviso è dovuto, ferma restando il diritto della parte di chiedere l’accertamento peritale con conseguente attivazione del contraddittorio tecnico sulle operazioni di estrazione del profilo genetico” (cfr. Cass n. 2087/2010).
Alla luce di quanto enunciato, si può affermare che “la natura irripetibile dell’accertamento tecnico che conduce alla estrapolazione del profilo genetico presente su reperti sequestrati deve essere accertata in concreto, dipendendo dalla quantità della traccia e dalla qualità del Dna sulla stessa presente.”
Questo significa che all’indagato e al difensore non è dovuta la comunicazione del successivo accertamento tecnico.
E ciò in quanto il profilo genotipico estratto, è risultato utile per la comparazione e quindi è sempre possibile ripetere l’analisi.
Inoltre, il riferimento all’osservanza delle formalità di cui all’art. 360 c.p.p. presuppone che l’accertamento tecnico riguardi reperti soggetti a modificazione. E questo, in modo che non sia possibile una successiva ripetizione nel corso delle diverse fasi del procedimento.
In base a questo, i giudici hanno rigettato nel caso di specie il ricorso, condannando il ricorrente alle spese processuali.
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