Viola il diritto di difesa dell’imputato la decisione del giudice che, di fronte ad un teste che rende dichiarazione palesemente false, interrompe la deposizione impedendo alla difesa di concludere il controesame

Durante l’escussione dibattimentale, la Corte d’assise di Napoli aveva interrotto l’esame di un teste perché ritenuto” falso”, con successiva trasmissione degli atti alla Procura.
In appello, la corte territoriale aveva respinto il motivo di gravame introdotto su tale questione, rilevando che la deposizione del teste era oggettivamente falsa.
Ed infatti, era emerso in giudizio che questi conoscesse in anticipo la data dell’udienza.
Ma per la difesa la corte d’assiste aveva male interpretato e quindi erroneamente applicato l’art. 63 c.p., che salvaguarda il teste che espone circostanze di un reato a lui imputabile commesso in precedenza; ma non anche applicabile al caso di falso testimone.
L’esame quindi non poteva essere interrotto. Peraltro, la norma prevede l’immediata trasmissione degli atti alla Procura solo nell’ipotesi di rifiuto di testimoniare e non anche per le false dichiarazioni.
Nella vicenda in esame, la teste era anche la parte offesa e nel contro esame della difesa aveva fatto delle dichiarazioni palesemente difformi (di totale “assoluzione” nei confronti dell’imputato), senza peraltro fornire chiarimenti al riguardo, rispetto a quelle precedentemente rese ai carabinieri in sede di denunzia.
Anche i giudici della Cassazione si sono pronunciati sulla vicenda in esame. E, nella specie, hanno ritenuto fondata la censura relativa all’interruzione dell’esame testimoniale della parte offesa prima della fine dell’esame, con le domande della difesa.
Per i giudici Ermellini, l’esame era stato illegittimamente interrotto (e mai più ripreso) sebbene la stessa avesse palesemente ed oggettivamente reso una falsa dichiarazione.

La falsa testimonianza in dibattimento

Il codice di procedura penale, in tema di valutazione della testimonianza, separa nettamente la valutazione della testimonianza ai fini della decisione del processo in cui è stata resa e la persecuzione penale della falsa testimonianza, attribuendo al giudice del processo il solo compito di informare il P.M. della notizia di reato (qualora se ne ravvisano gli estremi) alla fine del processo: “Con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa gli indizi di reato previsto dall’art. 372 c.p., ne informa il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti” – art. 207, comma 2 c.p..p. “In nessun caso la testimonianza – anche se fosse palesemente falsa – può essere interrotta, e mai più ripresa come nel caso in giudizio”.
Infatti, con l’interruzione della testimonianza si impedisce al testimone anche la possibilità di una l’eventuale ritrattazione ai sensi dell’art. 376 c.p.p.
Parimenti, l’art. 63 c.p.p prevede, nelle ipotesi di dichiarazioni del teste dalle quali emergano indizi di reità a suo carico, l’interruzione dell’esame per la nomina di un difensore, ma non già la cessazione dell’esame in assoluto, senza la conclusione della testimonianza.
Nella vicenda in commento, la testimonianza era stata ritenuta palesemente falsa solo su una questione esterna alla vicenda oggetto di imputazione (la conoscenza della data di fissazione dell’udienza) e, quindi, a maggior ragione, doveva ritenersi ingiustificata ed illegittima, l’interruzione del suo esame senza consentire alla difesa la conclusione del suo controesame.

Falsa testimonianza e diritto di difesa

La falsità di un teste (solo al fine della trasmissione della notizia al P.M.) – concludono gli Ermellini – può essere valutata solo alla fine del processo, non prima.
Ma se il giudice erroneamente interrompe la testimonianza disponendo la immediata trasmissione degli atti alla procura si tratta di una mera irregolarità:“(…) la deposizione dibattimentale, se pur falsa rimane parte integrante del processo in cui è stata resa e costituisce prova ivi utilizzabile e valutabile in relazione all’altro materiale probatorio legittimamente acquisiti, anche sulla base del meccanismo disciplinato dall’art. 500, comma 4 c.p.p”
Tale principio è stato affermato dalla Sesta Sezione della Cassazione (n. 18065/2011), che nel caso di specie, aveva ritenuto non sanzionabile, né influente sulla valutazione della prova testimoniale, ma solo frutto di un’irregolarità, la scelta operata dal giudice nel disporre la trasmissione al P.M. degli atti relativi ad ogni deposizione testimoniale sospettata di falso, non con la decisione a conclusione della fase processuale in cui essi avevano prestato il loro ufficio, ma subito dopo ogni singola deposizione.
Il caso poc’anzi menzionato è parzialmente differente da quello oggetto di causa ove, non solo era stata disposta la trasmissione anticipata della deposizione testimoniale, ma tale interruzione era avvenuta prima del controesame della difesa e mai più ripresa, con palese violazione del diritto alla prova dell’imputata.
Peraltro, trattandosi di deposizione di una delle parti offese, la sua testimonianza era sicuramente decisiva ai fini della affermazione o meno della penale responsabilità e dunque, ancora più evidente era la violazione del diritto di difesa della persona sottoposta a procedimento penale.
Per tali ragioni il motivo di ricorso è stato accolto.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
Leggi anche:
FALSA TESTIMONIANZA: ECCO QUALI SONO LE STRADE PER TUTELARSI

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui