Trauma cranico minore per infortunio sul lavoro viene valutato al di sotto del range indennizzabile (Corte d’Appello di Roma, Sez. Lavoro, Sentenza n. 3776/2021 del 27/10/2021-RG n. 2341/2020).

Trauma cranico minore derivante da infortunio sul lavoro non viene liquidato dall’ Inail, il ricorrente, pertanto, agisce in giudizio deducendo di avere subito plurimi infortuni sul lavoro, negli anni 1992 (trauma al ginocchio destro),1996 (lesione al tendine estensore falange dito mano sinistra) e 1998 (colpo di frusta cervicale) e nuovamente nel 2004 ( trauma cranico minore).

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 2013, accoglieva parzialmente l’appello proposto dal lavoratore nei confronti dell’Inail avverso la sentenza del Tribunale di Cassino che, in relazione all’infortunio sul lavoro occorsogli nel 2004 -con l’esito di trauma cranico minore-, aveva rigettato la domanda di costituzione di una rendita per inabilità permanente pari al 22%, essendo derivato dall’infortunio solo l’inabilità temporanea per 89 giorni.

La Corte territoriale, dopo avere rinnovato la CTU medico legale, precisava che dall’infortunio era derivata una sindrome post – concussionale da trauma cranico minore che è prevista dalle tabelle di cui al DM 1 2 luglio 2000, con danno biologico che poteva oscillare sino al 4%; pertanto, considerando che il CTU  aveva quantificato tale danno nel 3% ed applicando la formula a scalare in considerazione della rendita già fruita per precedente inabilità all’11%, condannava l’Istituto a erogare la rendita pari al 14% (di cui 11% per la precedente e 2,67% per la successiva).

Contro tale sentenza l’Inail propone ricorso in Cassazione deducendo che la Corte d’Appello aveva operato una unificazione non consentita di postumi ricadenti sotto diversi regimi normativi.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza con rinvio alla medesima Corte di Appello in diversa composizione.

La Corte di appello nella pronuncia oggetto di rinvio ha testualmente statuito : “come osservato dal ricorrente, questa Corte ha affermato che in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, ove alcuni infortuni o malattie si siano verificati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000 ed altri si siano verificati successivamente, ai sensi dell’art. 13, n. 6 prima parte, i postumi relativi non si cumulano ai fini della liquidazione di un’unica prestazione previdenziale, restando del tutto autonomi e separati i due regimi di tutela precedente e successivo alle nuove disposizioni; la conseguenza di tale affermazione è che il regime del D.P.R. n. 1124 del 1965 continua a coesistere con quello successivo e a governare gli eventi di sua competenza fino allo scadere dei relativi termini revisionali”.

Il ricorrente ha sofferto di plurimi infortuni sul lavoro, negli anni 1992 (trauma al ginocchio destro),1996 ( lesione al tendine estensore falange 4° dito mano sinistra) e 1998 ( colpo di frusta cervicale) e nuovamente nel 2004 ( trauma cranico minore).

Come rilevato dalla Corte di Cassazione, la Corte di Appello aveva applicato la formula a scalare su termini non omogenei, costituti dalla rendita all’11 % liquidata ai sensi del d.P.R. n. 1124 del 1965 (di cui godeva per gli infortuni occorsi negli anni 1992, 1996 e 1998) e dal danno biologico derivato dall’infortunio del 2004 stimato in applicazione dell’art. 13 d.lgs. n. 38/2000; in tal modo era stato disatteso l’orientamento di legittimità secondo il quale “ i postumi riferiti alle due diverse discipline non si cumulano ai fini della liquidazione di una unica prestazione previdenziale, restando del tutto autonomi e separati i regimi di tutela.”

Nel giudizio di riassunzione è stato chiesto il rinnovo della CTU, ma la richiesta viene rigettata in assenza di specifiche censure all’elaborato peritale che, discostandosi da quello di primo grado, disconosceva postumi all’infortunio occorso nel 2004 per trauma cranico minore.

Conseguentemente, dava atto della permanenza di una patologia che nel suo range più elevato poteva giungere ad un grado di invalidità del 4%, e che determinava nel caso specifico postumi invalidanti quantificabili nella misura del 3% .

Si discorre, pertanto, di percentuali di invalidità pacificamente inferiori al minimo indennizzabile.

Per tali ragioni, l’originario ricorso viene respinto e il lavoratore condannato alla refusione delle spese di lite.

Avv. Emanuela Foligno

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