Ultrapetizione del primo grado e sentenza di appello viziata, interviene la Cassazione

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ultrapetizione

La Corte d’Appello, sotto il profilo processuale, ha ritenuto che i fatti storici costituenti la “ragione della domanda” fossero diversi da quelli posti dal Tribunale a fondamento del giudizio di responsabilità, con conseguente nullità della sentenza di primo grado per ultrapetizione. Per la Cassazione la sentenza d’appello è gravemente viziata (Cassazione civile, sez. III, 27/06/2024, n.1774).

Il caso

Il decesso avveniva in data 14 aprile 2013 presso il reparto di chirurgia vascolare del Policlinico “Le Scotte” di Siena. Qui il paziente era stato ricoverato per lesioni vascolari ischemiche agli arti inferiori, originate da un processo tromboflebitico riscontrato sin dall’ottobre precedente presso il Pronto Soccorso della stessa struttura. Le lesioni si erano progressivamente aggravate mediante infezione e necrosi ed esitate in un quadro irreversibile di ischemia microvascolare e di infezione multiorgano al cospetto del quale era stato deciso di praticare l’intervento chirurgico demolitivo dell’amputazione di entrambi gli arti.

L’amputazione veniva eseguita alla gamba sinistra in data 9 aprile 2013 e programmato dopo 5 giorni sulla gamba destra, ma non si era potuto completare per il sopravvenire dello shock settico e del decesso del paziente.

La vicenda giudiziaria

Il Tribunale di Siena condanna l’Azienda Ospedaliera Senese a risarcire i congiunti del paziente deceduto.

I Giudici di appello, a titolo di inadempimento della struttura, hanno evidenziato il ritardo con cui veniva eseguito l’intervento di amputazione degli arti inferiori. Invece, il primo Giudice, sulla scorta della CTU medico-legale espletata, aveva accertato la responsabilità della struttura in ragione delle omissioni e degli errori posti in essere sul piano diagnostico e terapeutico.

Tra il primo e il secondo grado di merito ciò che diverge è, pertanto, la causa della responsabilità della struttura sanitaria

La CTU svolta in primo grado aveva accertato che il paziente era affetto da “linfedema cronico da stasi” che avrebbe dovuto essere trattato con terapia diuretica, elasto-compressione e linfodrenaggio, mentre invece i sanitari avevano non correttamente ritenuto che si trattasse di lesioni vascolari ischemiche da trattare con antibiotici. Inoltre, il consulente aveva reputato causalmente rilevanti tali errori diagnostici e terapeutici (ritenendo “verosimile” che, in mancanza di essi, si sarebbe interrotta la progressiva ingravescenza della patologia e delle sue complicanze, che avevano condotto all’exitus il paziente), aveva invece affermato che una amputazione bilaterale degli arti ne avrebbe altrettanto “verosimilmente” implicato comunque la morte, avuto riguardo alle condizioni generali in cui quegli versava.

La Corte d’Appello dichiara nulla la sentenza di primo grado per vizio di ultrapetizione

Ciò posto, la Corte d’Appello, sotto il profilo processuale, ha ritenuto che i fatti storici costituenti la “ragione della domanda” fossero diversi da quelli posti dal Tribunale a fondamento del giudizio di responsabilità, sicché, avendo il primo Giudice emesso la condanna al risarcimento su una domanda avente una causa petendi diversa da quella formulata dalla parte, doveva reputarsi violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con conseguente nullità della sentenza per ultrapetizione.

Dichiarata la nullità della pronuncia di primo grado, sotto il profilo sostanziale, ha rilevato la mancanza del nesso causale tra la condotta di inadempimento specificamente allegata dagli attori nella citazione introduttiva e nella memoria ex art. 183, sesto comma, cpc (ovverosia, il ritardo nell’esecuzione dell’intervento chirurgico di amputazione), e l’evento dannoso letale verificatosi in capo al paziente e – sul presupposto che tale nesso avrebbe dovuto essere provato dagli attori – ne ha rigettato la domanda risarcitoria, condannandoli alle spese di entrambi i gradi.

La Corte di Cassazione

I ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata, nel rilevare il vizio di ultrapetizione nella decisione di primo grado, abbia considerato soltanto parzialmente i fatti storici posti a fondamento della domanda risarcitoria quali profili di inadempimento posti in essere dalla struttura ospedaliera a mezzo dei sanitari in essa operanti. I ricorrenti deducono, infatti, che il ritardo con cui era stata decisa l’amputazione degli arti era stato soltanto l’ultimo degli addebiti formulati all’indirizzo dell’azienda ospedaliera, poiché era stata, in realtà, denunciata una “progressione di errori”, consistenti:

  • a) nella sottostima della gravità degli eventi infettivi e vascolari a carico di entrambi gli arti inferiori (e quindi, in sostanza, nel non corretto inquadramento diagnostico della patologia).
  • b) nella ripetuta e ostinata somministrazione al paziente di una inutile terapia farmacologica e nell’applicazione di un piano terapeutico del tutto inefficace (e quindi, in sostanza, nella erronea individuazione e somministrazione della terapia appropriata alla patologia).
  • c) nel grave ritardo in ordine alla scelta di trattare chirurgicamente l’evento infettivo.

Inoltre, osservano che la CTU medico-legale aveva riscontrato l’effettiva sussistenza delle condotte inadempienti da loro puntualmente allegate, evidenziando le omissioni e gli errori diagnostici e terapeutici in cui erano incorsi i sanitari, nonché il nesso di causa tra gli stessi e l’evento dannoso, e sottolineando, quanto all’intervento chirurgico, che, in luogo di quello definitivamente demolitivo dell’amputazione, avrebbe potuto essere eseguito quello di necrosectomia del tessuto cutaneo e sottocutaneo sino alla fascia muscolare.

Concludono che, pertanto, la sentenza di primo grado, avendo posto tali fatti di inadempimento (unitamente alla loro rilevanza causale in ordine all’evento di danno) a fondamento del giudizio di responsabilità dell’azienda ospedaliera, aveva pronunciato nei limiti della domanda da loro proposta, non incorrendo in alcun vizio di ultrapetizione.

Le censure sono corrette.

La sentenza d’appello è gravemente viziata

La sentenza d’appello è gravemente viziata. L’obbligazione trova i suoi requisiti costitutivi, oltre che nelle due posizioni di debito e di credito, negli elementi che ne integrano il contenuto, i quali si sostanziano nella prestazione che forma oggetto della posizione di debito e nell’interesse che costituisce il punto di riferimento della posizione di credito, cui la prima deve corrispondere (art. 1174 c.c.)

La corrispondenza della prestazione al concreto interesse creditorio (e non ad un contenuto tipico predeterminato) presiede al giudizio di inadempimento (art. 1174 cc.) e della sua gravità (art. 1455 cc.), in quanto l’ interesse rileva sia quale parametro di determinazione della prestazione da eseguire sia quale parametro di valutazione della prestazione eseguita: per un verso, la prestazione si determina secondo lo sforzo diligente normalmente adeguato a soddisfare l’interesse del creditore; per altro verso, la prestazione deve considerarsi liberatoria quando essa abbia comunque conseguito il soddisfacimento del detto interesse, pur non essendo esattamente conforme al previsto per la presenza di irrilevanti inesattezze qualitative o quantitative.

A ciò si devono aggiungere le regole processuali in ordine all’onere di allegazione nelle azioni di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni professionali e, in genere, delle obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni connotate da profili tecnici o scientifici.

Più volte la S.C. ha rammentato che l’onere di prova resta circoscritto ai fatti conosciuti e conoscibili dalla parte, in ragione delle informazioni ad essa accessibili e delle cognizioni tecnico-scientifiche esigibili, e non si spinge fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore, essendo sufficiente la contestazione dell’aspetto colposo dell’attività medica secondo quelle che si ritengono essere, in un dato momento storico, le cognizioni ordinarie in ordine all’attuale stato dei profili di responsabilità del sanitario (in tale senso vengono menzionate Cass. 19/05/2004, n. 9471; Cass. 26/07/2012, n. 13269).

L’onere di prova circoscritto ai fatti conosciuti e conoscibili dalla parte

Conseguentemente, oltre a non costituire domanda nuova quanto emergente dalla CTU, il Giudice non è rigidamente vincolato alle iniziali prospettazioni dell’attore, dovendosi considerare il fatto costitutivo, idoneo a delimitare l’ambito dell’indagine, nella sua essenzialità materiale.

Ragionando in tal senso, è pacifica la illegittimità della sentenza di appello, diretta a dichiarare la nullità della decisione di primo grado per extra-petizione, specie considerato che gli attori avevano allegato, quale condotta inadempiente contestata ai sanitari operanti presso la struttura convenuta, in funzione dell’affermazione della responsabilità contrattuale di quest’ultima, non solo il ritardo nell’esecuzione dell’intervento chirurgico demolitivo, ma anche omissioni ed errori diagnosti e terapeutici, per avere “sottostimato la gravità degli eventi, infettivi e vascolari a carico di entrambi gli arti inferiori” e “applicato un piano terapeutico del tutto inefficace”, somministrando “al paziente una inutile terapia farmacologica”.

Il primo Giudice aveva accertato la sussistenza sia dell’omessa diagnosi (per non avere i sanitari preso atto che l’affezione del paziente era “linfedema da stasi”) sia dell’errore terapeutico (per avere trattato sintomatologicamente le lesioni ischemiche vascolari con terapia antibiotica, anziché con terapia diuretica, elasto-compressione, linfodrenaggio e, al limite, intervento chirurgico di necrosectomia). Gravemente illegittima si mostra dunque la sentenza d’appello, nella parte in cui ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado per extra-petizione, incorrendo invece essa, per converso, nella violazione della norma processuale posta a presidio del principio dispositivo in senso materiale.

Omessa diagnosi ed errore terapeutico

Ed ancora, i ricorrenti osservano che la sentenza impugnata ha fondato la pronuncia di merito di esclusione della responsabilità della struttura sulla considerazione di un unico fatto dedotto come profilo di inadempimento, ovverosia il ritardo serbato dai sanitari nel porre in essere l’intervento demolitivo di amputazione bilaterale degli arti, intervento di cui il CTU aveva escluso il rilievo causale in relazione al decesso del paziente. Sostengono che, se avesse debitamente considerato tali errori ed omissioni (di cui il CTU aveva riscontrato, oltre che la sussistenza, anche la rilevanza causale, e che dovevano pertanto reputarsi decisivi in funzione dell’affermazione della responsabilità della struttura sanitaria), il Giudice d’appello avrebbe confermato la statuizione di accoglimento della domanda risarcitoria, già correttamente emessa in primo grado.

Anche questa doglianza coglie nel segno (Cassazione civile, sez. III, 27/06/2024, n.17742). I giudici di Appello hanno escluso il nesso causale tra la condotta inadempiente dei medici e l’evento dannoso sulla base dell’accertamento peritale che aveva ritenuto che “verosimilmente” l’amputazione degli arti avrebbe comunque comportato la morte del paziente.

La Corte toscana, però, avrebbe dovuto considerare anche le ulteriori circostanze accertate dal CTU all’esito dell’indagine medico-legale (in particolare, le omissioni diagnostiche e gli errori terapeutici) che erano state invece ritenute determinanti in relazione alla progressiva ingravescenza della patologia e all’esito letale della stessa.

Avv. Emanuela Foligno

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