Vaccini: niente risarcimento danni se il medico esegue correttamente l’iniezione

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Il vaccino obbligatorio è un intervento routinario e pertanto, non richiede accertamenti preventivi. Il verificarsi di eventi imprevisti e indesiderati, perciò, esclude la responsabilità dell’azienda sanitaria locale laddove il medico abbia correttamente eseguito l’intervento.

È quanto affermato in una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, (sentenza n. 21177 del _ 2015). La vicenda giudiziaria cominciava nell’anno 1997, quando una donna napoletana presentava ricorso contro la ASL 5 di Napoli, lamentando di aver riportato –“postumi permanenti” a seguito di una vaccinazione obbligatoria contro il tifo. (Nella specie, si trattava di una lesione al “nervo circonflesso” conseguita all’iniezione). Già allora il giudice di prime cure, aveva rigettato le pretese risarcitorie della donna e, allo stesso modo, i giudici della Corte d’Appello di Napoli, qualche anno più tardi pronunciandosi nel merito della vicenda, dichiaravano l’assenza di responsabilità in capo alla ASL per il danno verificatosi. Come testualmente dichiarato dai giudici napoletani, benché fosse accertato che l’iniezione aveva toccato e danneggiato il nervo circonflesso della donna, nessuna responsabilità poteva dirsi ascrivibile al medico vaccinatore e per esso alla Asl, avendo il primo somministrato il vaccino in maniera tecnicamente corretta e avendo il predetto nervo un andamento variabile da individuo ad individuo”, tale da rendere imprevedibile l’evento verificatosi.

Si giungeva così dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione che pronunciava la sentenza quest’oggi in commento. La stessa, conformemente a quanto già espresso dai giudici di merito, dichiarava: la Corte d’appello “non ha violato i principi in tema di responsabilità medica”. E aggiungeva, i giudici napoletani hanno “positivamente accertato l’esistenza del nesso causale tra la vaccinazione e il danno riportato dalla paziente ma hanno poi escluso, in base alle risultanze delle consulenze tecniche, “che alcuna responsabilità colposa gravasse sulla dottoressa che ha eseguito la vaccinazione, la quale si è attenuta ai protocolli nella localizzazione dell’iniezione e nelle modalità della sua esecuzione, né era tenuta, trattandosi di una pratica routinaria, ad eseguire altri e più complessi accertamenti preventivi”.

L’evento dannoso, andava piuttosto ricondotto sotto il profilo del caso fortuito, considerato l’andamento variabile e talvolta imprevedibile del nervo circonflesso, che ha portato l’evento, fuori dalla sfera di controllo e di prevedibilità della professionista che ha effettuato l’intervento routinario. Non hanno sbagliato, i giudici napoletani nemmeno nell’inquadrare l’onere probatorio in capo alle parti. Come affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità, “l’attore ha l’onere di allegare e di provare l’esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l’onere di allegare (ma non anche di provare) la colpa del medico, quest’ultimo, invece, ha l’onere di provare l’eventuale insuccesso dell’intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a lui non imputabile” (Cass.n. 17143 del 2012).

Ebbene, il nostro ordinamento riconosce quale diritto fondamentale di rango costituzionale il diritto alla salute (art. 32 Cost.). Si tratta in verità, del più importante (forse) dei diritti sociali, poiché esso , rappresenta non solo un diritto primario del privato cittadino, ma anche e, al tempo stesso un interesse fondamentale per tutta la collettività. Tale premessa è fondamentale, ogni qual volta si affronta un tema tanto delicato quale quello di cui oggi si tratta. In materia di responsabilità medica per i danni causati al paziente, la giurisprudenza ha ormai da tempo elaborato un sistema ad hoc che assicuri e laddove possibile, rafforzi la tutela del paziente, soggetto debole per definizione: in particolare la tutela è incentrata in materia di onere della prova. La responsabilità medica solitamente nasce da una prestazione in qualche modo inadeguata, dalla quale derivano effetti negativi per la salute del paziente. Ciò può comportare, a seconda dei casi, un obbligo al risarcimento del danno, una condanna penale o semplicemente un provvedimento disciplinare.

Limitandoci ad affrontare soltanto il primo degli aspetti appena citati e, volendo trovare un riferimento normativo che inquadri la vicenda sotto l’aspetto della responsabilità civilistica, doveroso è il richiamo agli art. 1176 c.c. (diligenza dell’adempimento), 1218 (responsabilità del debitore), 2043 (risarcimento per fatto illecito), 2230 (prestazione d’opera intellettuale), 2236 (responsabilità del prestatore d’opera). Il riferimento a questi articoli,va in verità, differenziato a seconda che si tratti di responsabilità contrattuale o viceversa, di responsabilità extracontrattuale del sanitario. L’importanza della distinzione attiene principalmente all’onere della prova, al regime della prescrizione e alla determinazione del danno risarcibile.

Ebbene, in caso di responsabilità contrattuale, il medico rileva quale parte di un rapporto negoziale che vede dall’altra parte, come ulteriore soggetto contraente il paziente. Questo rapporto ha per oggetto la “prestazione d’opera intellettuale” eseguita dal medico e regolata dall’art. 2230 c.c. la quale, se non eseguita correttamente genera in capo al primo un un obbligo di natura risarcitoria nei confronti dell’altra parte negoziale (il paziente) a meno che lo stesso “ non provi che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile” (art. 1218 c.c.). Quanto all’onere della prova, nell’ipotesi di responsabilità contrattuale, all’attore è semplicemente richiesto di provare il preesistente rapporto giuridico da cui deriva il suo diritto di credito, diversamente il debitore sarà gravato dell’onere di dimostrare, se vuole liberarsi da tale responsabilità, che l’inadempimento o il ritardo sono dovuti a causa a lui non imputabile; nell’illecito extracontrattuale, invece, la regola è che l’attore che assume di essere stato danneggiato e pertanto agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno, ha l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa, nonché la colpevolezza nella condotta dell’autore del fatto illecito e il nesso causale tra la condotta e l’evento danno.

Questo principio, va poi letto in combinato disposto con gli art. 1176, comma 2 e 2236 c.c., ossia le norme relative all’indagine dell’elemento psicologico (dolo o della colpa) ravvisabili nella condotta del prestatore d’opera, nonché della natura della sua prestazione. È stato più volte ribadito dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che qualora si abbia a che fare con interventi di natura routinaria (come il caso in esame), è sufficiente verificare di volta in volta, la diligenza del medico nell’adempimento della prestazione, diligenza che sarà parametrata per l’appunto alla “natura della attività esercitata”, non anche alla normale “diligenza del buon padre di famiglia”. Laddove, invece, si tratti di interventi particolari, e/o di speciale difficoltà sarà necessario accertare l’esistenza del dolo o della colpa del medico come disciplinato dall’articolo 2236 c.c. (In tema di responsabilità del medico per i danni causati al paziente, l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira il cliente, ma deve essere valutato alla stregua tanto, in tema di ripartizione dell’onere probatorio, una volta provati dal paziente la sussistenza ed il contenuto del contratto, se la prestazione dell’attività non consegue il risultato normalmente ottenibile in relazione alle circostanze concrete del caso, incombe al medico, dare la prova del verificarsi di un evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza che lo stesso ha impedito di ottenere (Cass. Civ., Sez. III, 9 ottobre 2012, n. 17143).

Ebbene, il caso quest’oggi sottoposto ai giudici della Suprema Corte, non lascia dubbi: accertata l’assenza di responsabilità in capo alla dottoressa“autrice della vaccinazione”, per aver la stessa (come ampiamente dimostrato durante l’istruttoria dibattimentale) correttamente eseguito l’iniezione, e dunque esclusa ogni possibile colpevolezza della stessa, sotto il profilo della negligenza, imprudenza o imperizia o del mancato rispetto delle corrette norme cautelari in materia, (c.d. legis artis) nessuna responsabilità è ascrivibile in capo all’Azienda sanitaria convenuta in giudizio. Piuttosto il danno è da ricondursi sotto il profilo del caso fortuito, (“l’andamento variabile da individuo a individuo e talvolta imprevedibile del nervo circonflesso, che ha ricondotto all’esterno della sfera di controllo e di prevedibilità della professionista che ha effettuato l’intervento routinario”) che per definizione, nega la relazione causa-effetto tra l’evento e il comportamento del soggetto agente, esimendolo da ogni responsabilità. Il caso fortuito comprende, infatti l’insieme di tutti quegli accadimenti assolutamente improbabili e/o imprevedibili, secondo la comune scienza ed esperienza, che rendono inevitabile il verificarsi del fatto illecito. Tanto è bastato ai giudici di Piazza Cavour per rigettare il ricorso de quo e liberare l’Azienda sanitaria da qualsivoglia responsabilità.

 Avv. Sabrina CAPORALE

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