Nel giudizio contro il Ministero della Salute per il risarcimento dei danni da emotrasfusioni, ai fini della dimostrazione del nesso causale può essere utilizzato il verbale della Commissione Medica
La Suprema Corte cassa la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 511 del 27/2/2020 che non ha dato la giusta rilevanza probatoria al verbale della Commissione Medica ai fini della dimostrazione del nesso causale (Cassazione Civile, sez. III, 29/12/2023, n.36504).
La vicenda
Il paziente, affetto da thalassemia maior, era stato sottoposto sin dalla nascita a ripetute emotrasfusioni, poi risultate infette, che gli avevano procurato la morte a seguito di epatopatologia.
La Commissione Medica Ospedaliera aveva rigettato, per intempestività, la domanda con cui aveva chiesto il riconoscimento dell’esistenza di un nesso causale tra le trasfusioni subite e la patologia diagnosticata. Gli eredi della vittima avevano ottenuto la formale attestazione dell’esistenza del danno subito dal congiunto e della sua derivazione causale dalle trasfusioni, anche in considerazione dell’assenza di altri fattori di rischio, ma non avevano ottenuto l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992. Pertanto adivano il Tribunale di Catania, perché condannasse il Ministero della Salute, ma la domanda veniva rigettata per difetto di prova.
Anche la Corte di Appello di Catania riteneva non provato il nesso causale tra la epatopatologia cagionata dalle emotrasfusioni e il decesso. Infatti non risultando prodotta la documentazione sanitaria necessaria per accertare, tramite CTU, le cause della morte e non potendo assumere efficacia probatoria la valutazione della Commissione Medica Ospedaliera; per la stessa ragione ha rigettato la richiesta di CTU; non ha ammesso neppure la prova testimoniale, non essendo stata la relativa istanza riproposta in sede di precisazione delle conclusioni.
I congiunti del paziente si rivolgono alla Corte di Cassazione
I Giudici di legittimità richiamano Cass., Sez. un., 06/07/2023, n. 19129, e ribadiscono che pur non avendo il verbale della Commissione Medica Ospedaliera valore di confessione, “nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della Salute per il risarcimento del danno derivato dall’emotrasfusione, l’accertamento effettuato in sede amministrativa del nesso causale fra quest’ultima e l’insorgenza della patologia può essere utilizzato ai fini della prova del nesso medesimo, che deve essere offerta dalla parte che agisce in giudizio”.
Il diritto all’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, e quello al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., che l’ordinamento riconosce come concorrenti, presuppongono entrambi un medesimo fatto lesivo, ossia l’insorgenza della patologia, derivato dalla medesima attività, e l’azione di danno si differenzia da quella finalizzata al riconoscimento della prestazione assistenziale essenzialmente perché richiede anche che l’attività trasfusionale, o la produzione di emoderivati, siano state compiute senza l’adozione di tutte le cautele ed i controlli esigibili a tutela della salute pubblica.
Ex art 2700 c.c.
I verbali delle commissioni mediche fanno prova ex art. 2700 c.c., mentre le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del Giudice che, pertanto, può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuire a loro il valore di prova legale, né ritenere che la valutazione espressa dalla Commissione Medica circa la sussistenza del nesso causale fra emotrasfusione e malattia, escluda il nesso medesimo dal thema probandum del giudizio risarcitorio intentato nei confronti del Ministero.
Viene ribadito il principio secondo cui il provvedimento che dispone la consulenza tecnica rientra sì nel potere discrezionale del Giudice del merito, ma va contemperato con l’altro principio secondo cui il Giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata su una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, con conseguente sindacabilità in sede di legittimità, sotto il profilo della mancata adeguata motivazione, della decisione di procedere (o non procedere, come nel caso in esame) alla richiesta di intervento di ausiliare tecnico in materia.
Il rigetto della CTU
Se il Giudice rigetta l’ammissione di CTU deve dimostrare di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare.
Ergo, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono che si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza medico-legale, specie a fronte di una domanda di parte in tal senso, costituisce una carenza nell’accertamento dei fatti da parte del Giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza (Cass. 16/12/2022, n. 37027; Cass. 1/09/2015, n. 17399).
La Corte d’Appello ha errato per non avere attribuito alcun rilievo al verbale della CMO e per non avere disposto, senza alcuna motivazione, la richiesta CTU medico-legale.
Avv. Emanuela Foligno