Se l’imputato attesta l’esistenza di un disturbo il giudice è tenuto ad accertarne la reale capacità di intendere e di volere

Colpevole per aver usato violenza sessuale nei confronti di diverse sue alunne abusando dell’autorità connessa alla sua funzione. Con tale motivazione la Corte d’appello di Potenza, confermando la sentenza di primo grado, condannava l’insegnante di un Istituto Alberghiero reo di aver toccato le ragazze, di 14 e 13 anni, sulle cosce e sui glutei “proferendo al contempo frasi di apprezzamento per le loro qualità estetiche ovvero di offerta di prosecuzione della propria condotta”.
L’uomo, ritenendo che la sua condotta non integrasse il reato di violenza sessuale ai sensi dell’articolo 609 del codice penale, proponeva ricorso in Cassazione contestando, inoltre la decisione del Giudice di secondo grado di non disporre una perizia al fine di accertare la sua piena capacità di intendere e di volere, nonostante fossero state presentate in giudizio certificazioni mediche attestanti il suo stato di sofferenza psichiatrica.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 25434 del 20 giugno 2016, ha ritenuto di dover accogliere il ricorso proposto dall’insegnante rilevando un evidente errore da parte della Corte d’appello nell’indicazione delle norme violate dall’imputato. Nel capo d’imputazione, infatti, si faceva riferimento sia all’art. 609-bis che all’art. 609 quater del codice penale, le quali rappresentano “disposizioni fra loro antinomiche”, ovvero incompatibili.
Inoltre, secondo gli Ermellini, era da accogliere anche l’argomentazione relativa alla mancata effettuazione della perizia psichiatrica nonché “la mancata qualificazione dei fatti a attribuiti entro i limiti della minore gravità, sì da potere beneficiare della specifica circostanza attenuante prevista per essi dall’art. 609-bis cod. pen.”
In relazione al primo aspetto, in particolare, i giudici del Palazzaccio, richiamando precedenti sentenze (n. 34570/2012 e n. 19733/2010) hanno precisato che l’accertamento non necessiti della richiesta di parte, ma può essere compiuto anche d’ufficio dal giudice laddove vi siano elementi per dubitare dell’imputabilità.
La Cassazione, inoltre ha evidenziato l’illogicità della decisione del giudice d’appello di rigettare la richiesta di riapertura dell’istruttoria formulata dal ricorrente, ritenendola ingiustificata. La Corte d’appello, infatti, pur avendo dato atto dell’esistenza di una diagnosi attestante l’esistenza nell’imputato di un disturbo bipolare a prevalente componente depressiva, ne aveva escluso a priori “la rilevanza in termini di incidenza di esso sulla capacità di intendere e di volere.
La motivazione di tale decisione, ovvero l’inidoneità della indicata diagnosi a integrare una patologia psichiatrica capace di influire sulla imputabilità del soggetto, è stata ritenuta inadeguata dalla Cassazione, che pertanto ha deciso di annullare la sentenza impugnata rinviandola alla Corte d’appello per una nuova pronuncia basata sulle osservazioni esplicate.
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