Respinto il ricorso di una donna, condannata per tentato furto con strappo per aver cercato di impossessarsi della collanina d’oro della persona offesa strappandogliela dal collo

“Si configura il furto con strappo quando la violenza è immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene, anche se, a causa della relazione fisica intercorrente tra cosa sottratta e possessore, può derivare una ripercussione indiretta e involontaria sulla vittima”. E’ il principio espresso dalla Suprema Corte nella sentenza n. 17953/2020. I Giudici Ermellini si sono pronunciati, nello specifico, sul ricorso di una donna condannata, in sede di merito, alla pena di dieci mesi e venti giorni di reclusione, oltre a una multa di 300 euro per i reati di cui agli art. 56 e 624 bis del codice penale. L’imputata, nello specifico, era accusata di aver tentato di impossessassi della collanina d’oro della persona offesa strappandogliela dal collo ma non era riuscita nell’intento per cause indipendenti dalla propria volontà.

Nell’impugnare la sentenza di appello davanti alla Suprema Corte, la ricorrente deduceva la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione emergente dal testo della sentenza impugnata e da quella di primo grado in relazione alla qualificazione giuridica del fatto. A suo giudizio, infatti, il reato non era quello di furto con strappo di cui all’art. 624 bis c.p., comma 2, bensì quello di furto con violenza di cui al combinato disposto dell’art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 2; lo “strappo”  di cui all’art. 624 bis è infatti una condotta connotata da un qualche grado di violenza, seppur esercitata sulla cosa e non sulla persona, direttamente finalizzata allo spossessamento del bene; tuttavia, è altresì necessario che tale condotta si riverberi sulla persona. Nel caso di specie, invece, il riverbero sulla persona sarebbe stato escluso dalla stessa sentenza di primo grado laddove si affermava che la persona offesa “non si accorse di nulla”.

La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il ricorso infondato e, quindi, meritevole di rigetto.

I Giudici Ermellini hanno sottolineato come, secondo la giurisprudenza di legittimità, il cd. furto con strappo si verifica allorquando il soggetto attivo deve compiere un determinato gesto – lo strappo appunto – per superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra possessore e cosa sottratta – come nel caso della collanina appesa al collo. In tal caso lo strappo costituisce quindi il mezzo attraverso il quale si realizza la sottrazione; si configura, in altri termini, il delitto di furto con strappo quando la violenza sia immediatamente rivolta verso la cosa, seppur possa avere ricadute sulla persona che la detiene.

Sussiste, invece, l’aggravante della violenza sulle cose ogniqualvolta il soggetto, per commettere il reato, fa uso di energia fisica provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento nella destinazione ovvero fa uso di energia fisica diretta a vincere la resistenza che la natura o la mano dell’uomo hanno posto a riparo o difesa della cosa altrui; laddove, peraltro, nel caso di specie non risultava neppure che l’azione avesse determinato la rottura del bene sottratto.

Ne discende che la sensazione provata dalla vittima non è rilevante perché ciò che rileva ai fini dell’integrazione del reato di furto con strappo è che l’azione si sia, appunto, risolta in uno strappo ovvero in quell’azione necessaria per superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra possessore e cosa sottratta, tant’è che ove esso trasmodi in un atto di violenza che non si eserciti esclusivamente sulla cosa, ma si estenda anche, in via accessoria, al soggetto passivo, al fine di vi0ncerne la resistenza a fargli subire lo spossessamento, si configura il ben diverso delitto di rapina.

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