Accolto il ricorso di un padre che contestava il permanere del dovere di mantenimento nei confronti del figlio iscritto all’università ma con un contratto di lavoro part-time a tempo indeterminato

Con l’ordinanza n. 11186/2020 la Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso di un uomo contro la riduzione, operata dai giudici del merito, dell’assegno dovuto da lui dovuto alla ex moglie per concorso nel mantenimento del figlio, maggiorenne ma non economicamente autosufficiente.

Il ricorrente eccepiva, in particolare, che la Corte di appello avesse erroneamente ravvisato i presupposti per il permanere del diritto del figlio maggiorenne all’assegno di mantenimento, sulla scorta di un accertamento frettoloso e superficiale di quanto desumibile dalla documentazione versata in atti, sostenendo che la mera iscrizione all’università non fosse sufficiente a giustificare il permanere dell’obbligo, essendo incontestato lo svolgimento di attività lavorativa da parte del figlio in ragione di un contratto di lavoro part-time a tempo indeterminato.

La Cassazione ha ritenuto di accogliere il motivo di doglianza in quanto fondato.

I Giudici del Palazzaccio hanno ricordato che, secondo i principi informatori della materia, “ai fini del riconoscimento dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all’assegnazione della casa coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l’assegnazione dell’immobile, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni”.

Nel caso in esame, il Collegio distrettuale, pur avendo valutato lo svolgimento dell’attività lavorativa da parte del ragazzo e la prosecuzione della sua formazione professionale attraverso gli studi universitari, non aveva evidenziato le circostanze che giustificavano il permanere del suddetto obbligo in applicazione di criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età del beneficiario.

Da li la decisione di cassare la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale in diversa composizione per il riesame del caso.

La redazione giudica

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