La liquidazione dei danni da perdita di chance di sopravvivenza nella malpractice medica, un caso pratico seguito e portato a risarcimento con causa dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

1. Nozione

Il danno da perdita di chance rappresenta una voce di creazione giurisprudenziale, attraverso la quale viene fornito riscontro risarcitorio alla compromissione che la vittima – di un illecito ovvero di un inadempimento – patisce in quanto abbia visto svanire la possibilità di conseguire un certo risultato utile.
Il pregiudizio, in questo caso, non corrisponde al mancato conseguimento di tale vantaggio, non essendo lo stesso ravvisabile con certezza, in quanto dipendente da un’alea legata alla sorte e/o al comportamento di terzi. Ad essere prospettata, in questo caso, è bensì una tutela di carattere risarcitorio a fronte della compromissione delle opportunità che la vittima aveva di conseguire quel determinato vantaggio.
Un pregiudizio tale può prospettarsi nell’alveo della responsabilità da inadempimento nonché nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, soprattutto quella medica. Laddove sia generato da un illecito aquiliano, il danno da perdita di chance di carattere patrimoniale viene risarcito in applicazione dell’art. 2056 c.c., quale regola deputata a governare il risarcimento del danno a fronte di tutte le fattispecie di responsabilità extracontrattuale. Nell’ipotesi sia in gioco la perdita di chances di carattere non patrimoniale, si tratterà dare applicazione alla disciplina di cui all’art. 2059 c.c.

2. Nesso di causalità

Perché possa ritenersi sussistente la chance, occorre, infatti, che la possibilità di realizzare il risultato favorevole sia connotata da ragionevole certezza, ossia da una non trascurabile probabilità la quale, tuttavia, non necessariamente deve essere superiore al cinquanta per cento.
La chance consiste, per definizione, in mera possibilità (la cui esistenza deve, però, essere provata, sia pure in base a dati scientifici o statistici), così che il nesso causale tra la perdita di tale occasione e la condotta riferita al responsabile va accertato – a prescindere dalla maggiore o minore idoneità della chance stessa a realizzare il risultato – considerandola come un bene oggetto di un diritto autonomo.
Nell’accertamento del danno da perdita di chance possono, dunque, enuclearsi due distinti momenti, quello della verifica della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta e il danno evento e quello della quantificazione del danno, in cui in modo diverso si atteggia il controllo sulle probabilità di verificazione del risultato perduto.
Va, però, evidenziato che l’accertamento del nesso di causalità materiale implica anche in questo caso l’applicazione della regola causale “di funzione”, cioè probatoria, del «più probabile che non», sicché, in questo caso, la ricorrenza del nesso causale può affermarsi allorché il giudice accerti che quella diversa – e migliore – possibilità si sarebbe verificata «più probabilmente che non.

3. Il Caso

“…In data 27.11.2014 alle ore 04.27 il de cuius R**** P*****, in preda a lancinanti dolori addominali, con l’ausilio dei familiari, allertava il 118 da suo domicilio; l’ambulanza BMED/832 di M***** effettuava intervento di soccorso nel comune di Recale, alla via P****** giunta sul posto alle ore 04.34, trasportava il de cuius all’Ospedale di M***** con la diagnosi di “colica addominale”; pertanto, veniva accettato al Pronto Soccorso del Presidio Ospedaliero di M******* in codice verde alle ore 05.01 con diagnosi di ingresso di “colica addominale”; nonostante i lancinanti dolori addominali, ben quattro ore dopo il ricovero, i sanitari della predetta struttura, solo a seguito di rimostranze da parte dei familiari del de cuius, procedevano a sottoporre lo stesso a rx addome e prelievo di sangue, esattamente alle ore 09.17 e, non avendo riscontrato nulla di allarmante, nonostante l’irregolarità di alcuni valori dell’esame emocromocitometrico doveva indurre i sanitari ad un maggior approfondimento del caso, gli stessi procedevano a dimettere il de cuius…
Una volta arrivato al proprio domicilio, il de cuius continuava ad avvertire forti dolori tali da ricorrere nuovamente all’assistenza del 118…Alle ore 17.21, giungeva presso il domicilio del sig. R**** P***** l’ambulanza dove il medico di turno, constatato lo stato di assoluta insofferenza e precarietà del paziente, decideva di trattenerlo in loco piuttosto che trasportarlo d’urgenza al P.S…Sempre presso il domicilio del sig. R**** P*****, il dottore di turno, visto lo stato di semiincoscienza del de cuius, procedeva anche ad operazione di auscultazione riscontrando più volte difficoltà a rilevare il battito cardiaco del compianto sig. R**** P*****. Nonostante ciò, nonostante le condizioni di salute del de cuius richiedevano un approfondimento maggiore, i sanitari del 118 decidevano di lasciare il domicilio del sig. R**** P***** con diagnosi di “lombalgia acuta”.
Il giorno dopo, in data 28.11.2014,..i familiari allertavano nuovamente la postazione del 118 di M***** la quale effettuava intervento di soccorso al domicilio e dopo aver somministrato al de cuius zantac+spasmex, lo trasportavano nuovamente al Presidio Ospedaliero di M******…
Giunto all’osservazione dello specialista alle ore 12.15 dato l’ormai stato di incoscienza del de cuius, veniva sottoposto ad angio-tac aorta addominale e arti inferiori al seguito della quale lo specialista non poteva fare altro che riscontrare un aneurisma dell’arteria iliaca sinistra e pertanto alle ore 14.33 si decideva di trasferire con urgenza il paziente (con codice rosso in uscita) presso l’Azienda Ospedaliera ******* per sottoporlo ad intervento chirurgico di urgenza; Giunto all’Ospedale di C*****in condizioni ormai gravi e precarie, a tal punto da rendere impossibile qualsivoglia intervento chirurgico, la mattina seguente del 29.11.2014 alle ore 11.30 il sig. R**** P***** decedeva…”.
Tale carenza assistenziale ha configurato “perdita di chances di sopravvivenza”. Tenendo conto dei dati della Letteratura, appare congruo postulare e ponendosi in una fase mediana, una “ perdita di chances ” del 30% rispetto all’evento morte, in ordine al danno biologico “iure hereditatis”, essendo tra l’altro intercorso un congruo intervallo cronologico tra l’esordio dell’evento letale ed il decesso.
A parte, inoltre, verranno riconosciute le altre componenti di danno non patrimoniale, visto il quadro presentato dovuto alle lesioni accertate, il cui apprezzamento non è di competenza medica . (CC.SS. UU.11.novembre 2008).
A parte, inoltre, verrà riconosciuto il danno non patrimoniale dovuto alla sofferenza conseguente alle lesioni accertate, il cui apprezzamento non è di competenza medica (CC.SS.UU. 11 novembre 2008).

4. Le soluzioni giuridiche

In materia di responsabilità medica importante è la questione di quali siano le voci di danno risarcibili ai familiari nel caso di perdita del congiunto, il quale, a causa di negligenza medica, sia stato privato della possibilità di vivere più a lungo. Ulteriore più specifica questione è quella della cumulabilità, sul versante del risarcimento jure hereditario, del danno da perdita di chance di sopravvivenza e del danno biologico terminale.
Ci si chiede, dunque: i congiunti di una persona – che, a causa di omessa diagnosi, ha visto ridurre le chances di sopravvivenza che con un diligente intervento medico sarebbero state maggiori – hanno diritto al risarcimento, iure successionis, del danno biologico terminale, oltre al danno da perdita di chance?
Le soluzioni giuridiche che puntano sul cumulo di più poste risarcitorie in favore dei congiunti sembrano essere quelle maggioritarie. Vediamo, allora, le ragioni a sostegno, voce per voce.
1) Perdita di chance di sopravvivenza. La giurisprudenza muove dalla considerazione della perdita di chance quale danno patrimoniale che consegue all’omissione della diagnosi di aneurisma dell’aorta iliaca, impedendo al paziente di essere messo nelle condizioni di poter “sopravvivere” e cioè garantire chance in più di fruizione della salute residua fino all’esito infausto, e altresì di programmare il suo essere persona, ovverossia l’esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche, in vista e fino a quell’esito.
Quale entità patrimoniale a sé stante – prosegue ancora l’estensore – tale danno è giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, e va liquidato secondo un criterio equitativo puro ex artt. 1226 e 2056 c.c. (Cass.n. 23846/2008), tenendosi conto dello scarto temporale tra la durata della sopravvivenza effettiva e la durata della sopravvivenza possibile in caso di intervento sanitario adeguato.
Il giudice quantifica, quindi, tale voce di pregiudizio, tenendo conto doverosamente delle peculiarità del caso concreto, quali l’età avanzata della paziente, la preesistenza di rilevanti patologie, e altresì del tempo intercorso tra l’evento luttuoso effettivo e la data in cui questo avrebbe potuto verificarsi in mancanza dell’illecito sanitario (Cass. n. 7195/2014).
Questa parte della decisione segue l’impostazione delineata dalla giurisprudenza di legittimità a partire dal 2004, la quale ha considerato il danno da perdita di chance non come pregiudizio corrispondente al mancato conseguimento del risultato sperato, ma come  compromissione della possibilità che la vittima aveva di conseguirlo.
2) Danno biologico terminale. Il giudice accoglie, poi, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale biologico (id est, danno biologico terminale); e ciò tramite il riferimento a precedenti arresti di legittimità relativi alla rilevanza causale dell’illecito che non determini la perdita della vita, tuttavia anticipandola; così, in particolare, Cass. n. 5962/2000, richiamata da Cass. 7195/2014.
Vi si trova affermato che ogni fatto imputabile che determini la cessazione anticipata della vita, influenzando un fattore patogenetico già esistente e costituente la causa clinica del decesso, costituisce concausa dell’evento. In siffatte fattispecie, quindi, il nesso di causalità va esaminato secondo i principi della regolarità causale, non solo fra fatto ed evento letale, ma anche tra fatto e accelerazione dell’evento morte; con la conseguenza che esso va ravvisato non solo quando l’illecito abbia causato l’evento di danno, ma anche quando l’abbia accelerato.
Da qui la risarcibilità del danno non patrimoniale biologico, seppure limitatamente alla componente temporanea, atteso che la compromissione dell’integrità psico-fisica si era protratta per due soli giorni, fino all’evento luttuoso.
La liquidazione di tale voce viene compiuta in ossequio all’insegnamento della S.C., prendendo cioè a base del calcolo i valori tabellari per la liquidazione del danno da invalidità biologica assoluta temporanea, e procedendo a personalizzazione, data l’intensità di tale tipo di danno, tale che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero, esitando nella morte (Cass. n. 23183/2014; Cass. n. 15491/2014; Cass. n. 13198/2015). Esattamente, nella specie, l’importo giornaliero per l’inabilità temporanea assoluta è stato aumentato di 10 volte (145 x 10 = 1.450,00 x 2 gg = 2.900,00).
3) Danno parentale. La terza voce di danno liquidata agli attori è rappresentata dal danno da perdita del rapporto parentale, integrante – come noto – voce di pregiudizio iure proprio in capo ai familiari superstiti. Il giudice, dopo avere descritto le caratteristiche di tale tipo di pregiudizio, si sofferma sui criteri da utilizzare nella sua liquidazione; e al riguardo spiega che, nella specie, non è possibile applicare le tabelle milanesi, stante la rilevanza minima della perdita di chance. Il giudicante si discosta, allora, dai valori tabellari, procedendo ad una quantificazione equitativa di tale voce.

5. Criteri di liquidazione

Quanto al profilo della liquidazione del danno da perdita di chance di sopravvivenza, la questione si presenta multiforme: si va dall’equità pura al ricorso alle tabelle milanesi con interventi correttivi sempre in via equitativa.
In via generale, ricostruita la perdita di cui si discute in termini di danno emergente, la liquidazione del danno avviene sulla base di un criterio prognostico, valutando le concrete e ragionevoli probabilità che il danneggiato avrebbe avuto di conseguire il risultato utile. In tal modo si individua il vantaggio globale che il danneggiato avrebbe potuto raggiungere e poi lo si riduce proporzionalmente in base alle concrete chance di conseguirlo (c.d. tecnica del coefficiente di riduzione). Solo ove tale criterio non sia applicabile, perché ad esempio non sia possibile stabilire con sufficiente certezza la percentuale di chance perduta, si può ricorrere alla liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c..
Anche il riferimento alle tabelle milanesi nel coefficiente di riduzione, tuttavia, non è univoco: la diminuzione della chance di sopravvivenza viene parametrata all’invalidità temporanea totale liquidando una certa somma pero ogni giorno di vita persa (presupponendo di poter calcolare la perdita in termini di giorni, mesi ed anni), altre volte all’invalidità permanente, riducendo poi la somma in ragione della chance perduta e in entrambi i casi applicando talvolta un aumento o una riduzione del grado di invalidità o del valore monetario del punto di invalidità.
Sulla scorta dell’osservazione che vita e salute sono beni non sovrapponibili, talvolta il parametro di base dell’invalidità viene, poi, incrementato del 100%, di modo che un giorno di vita perduto viene considerato di più di un giorno passato nell’invalidità.
Diverso ancora è il caso di perdita di chance di cura e guarigione, quando una corretta diagnosi avrebbe portato ad una terapia adeguata, dunque una migliore qualità della vita: l’evento nefasto si sarebbe comunque verificato e l’errore medico ha anticipato tale evento privando il danneggiato di “vivere meglio”.

Avv. Benito De Siero
( foro di Santa Maria Capua Vetere)

 
 
 
 
 
 
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