Non è costituzionalmente illegittima la norma che attribuisce all’amministratore di sostegno la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario. Essa infatti non reca con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita

Con ordinanza del 24 marzo 2018, il giudice tutelare del Tribunale di Pavia, ha sollevato, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato.

Il giudice rimettente era stato chiamato a fare applicazione del censurato art. 3, comma 5, dovendo decidere sull’attribuzione all’amministratore di sostegno, in ordine alla rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in favore di persona «in stato vegetativo, nonché «portatore di PEG».

La legge n. 219 del 2017

La legge n. 219 del 2017, come si evince sin dal suo titolo, dà attuazione al principio del consenso informato nell’ambito della «relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico» (art. 1, comma 2).

Essa ha poi introdotto l’istituto delle DAT, prevedendo che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di determinarsi, possa esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, a tale scopo indicando un «fiduciario», che faccia le sue veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie (art. 4, comma 1).

Il medico è tenuto al rispetto delle DAT (che devono essere redatte secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 6), potendo egli disattenderle, in accordo con il fiduciario, soltanto «qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita» (art. 4, comma 5).

Nella specie, l’art. 3 della legge n. 219 del 2017 reca la disciplina – concernente tanto il consenso informato quanto le DAT – applicabile nel caso in cui il paziente sia non una persona (pienamente) capace di agire (art. 1, comma 5), ma una persona minore di età, interdetta, inabilitata o beneficiaria di amministrazione di sostegno.

Il rifiuto alle cure

Ebbene, esaminando la formula legislativa, appare evidente – a detta del giudice lombardo – che l’espressione «rifiuto delle cure», in considerazione della locuzione «in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento», si riferisca anche ai trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita.

Ne consegue che l’attribuzione all’amministratore di sostegno di detti poteri (nella specie, sotto forma di rappresentanza esclusiva) «ricomprenderebbe necessariamente il potere di rifiuto delle cure, ancorché si tratti di cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato»; cosicché l’amministratore di sostegno avrebbe «il potere di decidere della vita e della morte dell’amministrato» senza che tale potere possa essere «sindacato dall’autorità giudiziaria».

Le disposizioni censurate, poi, si porrebbero in contrasto con l’art. 3 Cost. sotto plurimi profili. Innanzitutto, poiché nell’amministrazione di sostegno, ai sensi dell’art. 411 del codice civile, è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare per il compimento degli atti, attinenti alla sfera patrimoniale, indicati agli artt. 374 e 375 del medesimo codice, sarebbe irragionevole che analoga autorizzazione non sia prevista per il rifiuto delle cure, «sintesi ed espressione dei diritti alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona».

In secondo luogo, dal momento che secondo la giurisprudenza è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare perché il rappresentante avanzi la domanda di separazione coniugale, sarebbe costituzionalmente illegittimo che non sia invece previsto l’intervento giudiziale per autorizzare il rifiuto delle cure, del pari atto personalissimo «coinvolgente valori egualmente rilevanti e dalle implicazioni certamente superiori».

Infine, sarebbe irragionevole che, se si tratta di soggetti incapaci, non venga apprestata «la più elementare attenzione» per la loro volontà, non prevedendosi meccanismo alcuno di tutela o controllo, quando invece la legge n. 219 del 2017 è tutta fondata «sull’intento di valorizzare ed accordare centralità all[e] manifestazioni di volontà dei singoli», tanto da prevedere formalità e procedure per la loro espressione.

La pronuncia della Corte costituzionale

Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate”. È quanto si legge nella sentenza n. 144/2019.

Ed invero, la questione di legittimità costituzionale si fonda su un erroneo presupposto interpretativo . affermano i giudici della Corte costituzionale .

Le norme censurate stabiliscono che “quando la nomina dell’amministratore di sostegno prevede l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, «il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere» (art. 3, comma 4); dall’altro, che, qualora non vi siano DAT, se l’amministratore di sostegno rifiuta le cure e il medico le reputa invece appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare, su ricorso dei soggetti legittimati a proporlo (art. 3, comma 5)”.

Esse dunque, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice rimettente, non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale.

Nella logica del sistema dell’amministrazione di sostegno è il giudice tutelare che, con il decreto di nomina, individua l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario.

Spetta a quest’ultimo, dunque, il compito di individuare e circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, nell’ottica di apprestare misure volte a garantire la migliore tutela della salute del beneficiario, tenendone pur sempre in conto la volontà, come espressamente prevede l’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017.

Tali misure di tutela, devono peraltro, essere dettate in relazione alle circostanze del caso di specie e, dunque, alla luce delle concrete condizioni di salute del beneficiario, dovendo il giudice tutelare affidare all’amministratore di sostegno poteri volti a prendersi cura del disabile, più o meno ampi in considerazione dello stato di salute in cui, al momento del conferimento dei poteri, questi versa.

La ratio dell’amministrazione di sostegno

La ratio dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, peraltro, richiede al giudice tutelare di modellare, anche in ambito sanitario, i poteri dell’amministratore sulle necessità concrete del beneficiario, stabilendone volta a volta l’estensione nel solo interesse del disabile.

L’adattamento dell’amministrazione di sostegno alle esigenze di ciascun beneficiario è, poi, ulteriormente garantito dalla possibilità di modificare i poteri conferiti all’amministratore anche in un momento successivo alla nomina, tenendo conto, ove mutassero le condizioni di salute, delle sopravvenute esigenze del disabile.

In definitiva, la Consulta ha chiarito che l’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219 del 2017, si limita a disciplinare il caso in cui l’amministratore di sostegno abbia ricevuto anche tale potere: spetta al giudice tutelare, tuttavia, attribuirglielo in occasione della nomina – laddove in concreto già ne ricorra l’esigenza, perché le condizioni di salute del beneficiario sono tali da rendere necessaria una decisione sul prestare o no il consenso a trattamenti sanitari di sostegno vitale – o successivamente, allorché il decorso della patologia del beneficiario specificamente lo richieda.

La questione di legittimità costituzionale è stata pertanto rigettata.

La redazione giuridica

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