È stato assolto in via definitiva il ginecologo accusato di omessa diagnosi di una infezione intrauterina.

Nessuna colpa è stata ravvisata in capo al sanitario, posto che all’epoca dei fatti non esisteva alcuna terapia certa per le gestanti affette da citomegalovirus

La vicenda

Confermata anche dalla corte d’Appello di Napoli l’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Nola nei confronti di un ginecologo, questa volta con la formula “perché il fatto non sussiste”, in relazione al delitto di lesioni personali gravissime ai danni di una neonata.

L’accusa era quella di una mancata tempestiva diagnosi di infezione intrauterina da citomegalovirus del feto, nonché alla mancata scelta di praticare un parto pretermine mediante taglio cesareo, che avrebbe evitato l’acuto danno asfittico sofferto dalla bambina.

Dopo aver ricostruito la vicenda, la corte territoriale era pervenuta alla sentenza di assoluzione, ritenendo l’assenza del nesso causale tra la condotta omissiva attribuita al sanitario e l’evento lesivo, che, anche in caso di tempestiva diagnosi dell’infezione, non sarebbe stato possibile evitare.

Era emerso in giudizio che il predetto ginecologo aveva omesso gli esami necessari per pervenire alla diagnosi dell’infezione da citomegalovirus, a fronte di dati deponenti in tal senso. Il quadro clinico e gli esami di laboratorio effettuati dalla gestante nel corso della gravidanza avrebbero dovuto condurre ad ulteriori approfondimenti, al fine di accertare lo stadio dell’infezione materna e di verificare l’eventuale contagio del feto, poi in concreto avvenuto, mediante analisi sul liquido amniotico e sul sangue fetale, tramite amniocentesi e cordocentesi.

La sentenza di assoluzione

Tuttavia, la corte territoriale ha escluso la sussistenza, all’epoca dei fatti (nel 2006) di una terapia praticabile nel caso di pazienti che avessero contratto siffatta infezione in gravidanza.

Ed invero, quand’anche la citata diagnosi fosse intervenuta entro il primo trimestre, termine entro il quale il medico avrebbe potuto proporre l’interruzione della gravidanza, all’epoca nella comunità scientifica non era stata approvata e codificata alcuna terapia vera e propria, ma solamente una terapia sperimentale pura, i cui benefici non erano né certi né risolutivi. Esisteva, inoltre, un farmaco antivirale ma che non era somministrabile dalle gestanti perché fortemente tossico.

Quanto alla scelta del parto naturale piuttosto che del taglio cesareo, era stato accertato che in nessun protocollo medico fosse prescritta tale modalità da parte dei ginecologi in caso di madre affetta da citomegalovirus.

La quarta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 25137/2019) ha, infine, confermato la sentenza assolutoria per intervenuta rinuncia al ricorso delle costituite parti civili.

La redazione giuridica

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