Secondo i congiunti, il decesso della paziente sarebbe riconducibile alla errata e ritardata cura di una piaga da decubito al piede sinistro, ma non risulta l’efficacia eziologica delle piaghe con il decesso (Corte Appello Bologna, sez. II, 16/01/2024, n.91).

La vicenda

La paziente decedeva in data 16/1/2018 e, secondo la figlia, la morte sarebbe stata causata dell’errata e ritardata cura di una piaga da decubito al piede sinistro durante il ricovero dal 05/12/2017 al 04/01/2018.

Il Tribunale (sent. 20606/2020) rigettava la domanda aderendo alle conclusioni del CT del PM, il quale accertava che la morte si era verificata per “arresto cardio-respiratorio terminale da insufficienza multi organo in polmonite bilaterale in paziente affetta da cardiopatia ischemica cronica di grado moderato, esiti di ictus cerebri, senectus in recente intervento di artroprotesi anca sinistra con sindrome ipocinetica“, escludendo qualsiasi efficacia eziologica delle piaghe da decubito, risultate anzi adeguatamente trattate e prive di fatti infettivi come da analisi istologica eseguita in corso di autopsia.

Il ricorso in Appello

I parenti della vittima impugnano la decisione, ma la Corte non accoglie il gravame perché in parte inammissibile e per il resto gravemente infondato.

Il profilo di inadempimento relativo alla mancata diagnosi della polmonite bilaterale, che affliggeva la vittima, diagnosticata dal personale del PS dell’Ospedale Maggiore in data 04/01/2018, è nuovo e diverso da quello avanzata in primo grado, dove la responsabilità della struttura è stata allegata unicamente con riferimento al trattamento delle piaghe all’arto inferiore sinistro; né tale nuova prospettazione trova fondamento su circostanze emerse in corso di causa.

Quanto alla domanda di responsabilità fondata sull’asserito nesso causale fra le piaghe da decubito e la morte, la Corte richiama il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui la consulenza tecnica richiesta dal Pubblico Ministero è utilizzabile nel giudizio civile risarcitorio. Quindi il Giudice civile può porre a fondamento del proprio convincimento anche le prove formate in un diverso processo, svoltosi tra le stesse o altre parti, ritualmente acquisite al giudizio civile e sulle quali sia stato consentito il contraddittorio, e condivide le considerazioni del CT del PM, della cui attendibilità e correttezza non ha motivo di dubitare.

Le cause della morte

La paziente, di anni 93, affetta da osteoporosi severa, ictus cerebri, ateromasia carotidea, FA parossistica, brachicardia, scompensi cardiaci e una piaga da decubito sul calcagno sinistro per la quale erano da tempo in corso medicazioni domiciliari, è stata dimessa in data 05/12/2017 dall’Ospedale Maggiore di Bologna dopo un ricovero durato circa due settimane per un intervento di revisione di artroprotesi d’anca.

È deceduta il 16 gennaio successivo per arresto cardiaco-respiratorio terminale da insufficienza multi-organo in polmonite bilaterale. Tale condizione si è verificata per “il prolungato allettamento dato dalle precarie condizioni di salute post-intervento di revisione di artroprotesi d’anca, le condizioni precorrenti (scompenso cardiaco congestizio ed esiti di ictus cerebri) e la sopravvenuta patologia infettiva polmonare”, circostanze non imputabili all’operato dei sanitari che hanno avuto in cura la paziente.

La perizia medico-legale svolta in sede penale, finalizzata ad accertare la correttezza dell’operato di tutti i sanitari che ebbero in cura la vittima, ha escluso la ravvisabilità di qualsivoglia elemento di censura dell’operato dei sanitari attestando che, per la paziente, “furono messe in atto le migliori strategie terapeutiche per l’epoca, secondo le più aggiornate Linee Guida”.

I giudici rigettano integralmente l’appello.

Avv. Emanuela Foligno

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