Viene convenuto in giudizio il Ministero della Salute onde vederne accertata la responsabilità per il decesso del paziente che sarebbe stato causato, tra l’altro, dalla contrazione del virus dell’epatite HCV a seguito di emotrasfusioni eseguite nel 1980.

Gli attori deducono che il congiunto, in data 20/08/1980, a seguito del ricovero ospedaliero presso l’ospedale di Roma per un intervento di sostituzione della valvola mitralica ed aortica, veniva sottoposto ad emotrasfusioni e che nel luglio del 2008, a seguito di un peggioramento del quadro epatico con incremento degli indici di citolisi, avrebbe ricevuto la diagnosi di “cirrosi epatica HCV correlata da genotipo 1b”.

La richiesta di risarcimento danni

A seguito della predetta diagnosi, veniva proposta in data 29/10/2008 richiesta di indennizzo ex lege 210/1992 e la Commissione Medica Ospedaliera di Chieti, sebbene avesse ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la patologia e la trasfusione, rigettava la domanda in quanto ritenuta tardiva.

Avverso tale giudizio, si proponeva ricorso al Ministero della Salute ai sensi dell’art. 5 della legge 210/1992 al fine di ottenere l’indennizzo ex lege. Con sentenza n. 3/2016, il Giudice del lavoro, in accoglimento del ricorso, condannava il Ministero al pagamento dell’indennizzo, ma rigettava la richiesta relativa alla condanna al risarcimento dei danni poiché ritenuta prescritta.

Tale sentenza veniva appellata e, con sentenza n. 39/2017, la Corte d’Appello di L’Aquila condannava il Ministero della Salute al risarcimento dei danni subiti, con detrazione dell’indennizzo ex lege 210/1992 già riconosciuto.

Il decesso del paziente e il danno iure proprio dei parenti

A seguito del decesso del paziente, avvenuto in data 3/11/2018, per cause asseritamente connesse alla patologia epatica, gli eredi chiedevano i benefici ex art. 2 della medesima Legge 210/92 (assegno una tantum) e la commissione esaminatrice esprimeva parere favorevole.

Gli odierni attori, ritenendo il Ministero responsabile per il decesso del congiunto, hanno agito con ulteriore giudizio per richiedere il danno non patrimoniale subito iure proprio a seguito del decesso.

Il Tribunale ritiene la domanda fondata e richiama le Sezioni Unite (576-585 del 2008) che hanno ribadito che la responsabilità del Ministero trova il suo referente normativo nell’art. 2043 c.c., dovendosi escludere che lo stesso possa essere considerato una parte contrattuale nel contratto stipulato tra il paziente e la struttura sanitaria.

Con riferimento al nesso di causa, il principio del “più probabile che non”, che soggiace in materia di responsabilità civile avuto specifico riguardo al danno derivante da emotrasfusione, ha condotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare che “il giudice, accertata l’omissione di tali attività con riferimento alle cognizioni scientifiche esistenti all’epoca di produzione del preparato, ed accertata l’esistenza di una patologia da virus HIV, HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento” (Cass. civ. n. 8430/2011).

Il nesso causale tra le emotrasfusioni e la contrazione del virus

Nel caso in esame, il nesso causale tra le emotrasfusioni praticate al paziente e la contrazione del virus dell’epatite HCV è stato accertato, dapprima, dalla Commissione medica ospedaliera di Chieti, in sede amministrativa; successivamente, in sede di CTU medico legale espletata nel giudizio svoltosi dinanzi al Giudice del Lavoro del Tribunale di L’Aquila che ha statuito anche sul conseguente riconoscimento dell’indennizzo ex lege.

Inoltre, i CTU incaricati hanno confermato le risultanze scientifiche emerse nei precedenti giudizi. In particolare, con riferimento alla sussistenza del nesso di causalità tra la contrazione del virus HCV e il decesso hanno osservato che si può affermare pressoché con certezza che l’exitus per encefalopatia epatica fino al coma sia causalmente connesso con l’aggravamento fino allo scompenso della cirrosi epatica HCV correlata, contratta a seguito delle emotrasfusioni effettuate nell’80 presso l’Ospedale di Roma”.

Il profilo dell’imputabilità soggettiva

Relativamente al profilo dell’imputabilità soggettiva, la Suprema Corte ha stabilito che “il Ministero della salute, in base ad una pluralità di fonti normative è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine (anche) alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati, e risponde ex art. 2043 c.c., per omessa vigilanza, dei danni conseguenti ad epatite e ad infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584. V. altresì, conformemente, Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., 9/8/2011, n. 17685; Cass., 2371/2014, n. 1355).

Ergo, anche nel 1980 (anno del contagio) erano già in vigore disposizioni normative che imponevano di effettuare controlli sul sangue destinato alle emotrasfusioni e per tale ragione viene affermata la responsabilità del Ministero della Salute che è, dunque, tenuto al risarcimento del danno da perdita parentale.

Per la liquidazione del danno il Giudice utilizza le Tabelle di Roma e dispone per oltre 1 milione di euro in favore dei congiunti.

Avv. Emanuela Foligno

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