Ribaltata la decisione di merito che aveva negato il diritto alla donna, affetta da epatite cronica da Hcv, per prescrizione dei termini

La responsabilità del Ministero della Salute per danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime); ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, primo comma, cod. civ. non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì dal momento in cui tale malattia viene percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 14470/2021 pronunciandosi sul ricorso di una donna che si era vista rigettare, in sede di merito, la domanda avanzata nei confronti del dicastero e della Asl di Lecce volta al conseguimento del risarcimento dei danni subiti per aver contratto l’epatite cronica da HCV a seguito di tre emotrasfusioni eseguite, rispettivamente ricevute in data 8 dicembre 1974, 6 febbraio 1977 e 26 ottobre 1981, in occasione del suo ricovero presso l’Ospedale di Gallipoli.

Il Tribunale di Lecce, nello specifico, aveva negato la pretesa in accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della Salute. La Corte d’Appello aveva confermato integralmente la decisione di primo grado ritenendo che a fronte di una serie di circostanze quali lo “screzio epatico” registrato già nel 1980 e dovuto ad un aumento delle transaminasi, alcuni sintomi di una certa gravità riferiti a ad un’epoca in cui era consapevole di essere stata ripetutamente trasfusa, la “sorveglianza biochimica” e le conoscenze scientifiche risalenti al 1990, era possibile affermare che la donna “conosceva o comunque avrebbe potuto individuare con l’uso dell’ordinaria diligenza la causa della sua epatite”. Il Giudice di secondo grado aveva osservato altresì che avendo il C.T.U. di primo grado rilevato, in base ai verbali della Commissione Medica, che l’attrice già nel marzo 1998 era risultata positiva all’HCV, “era ragionevole far risalire al più a tale data il momento in cui ella aveva potuto avere contezza del fatto che la patologia contratta fosse conseguenza delle trasfusioni di sangue infetto”.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la ricorrente lamentava violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 c.c., 2947 c.c. nonché 2697 c.c, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. sostenendo che la Corte d’Appello, pur avendo correttamente individuato la norma applicabile al caso di specie, sarebbe incorsa in un errore di sussunzione del fatto nell’ipotesi normativa poiché avrebbe ritenuto conosciuto o comunque conoscibile in via presuntiva, l’esistenza della malattia e la sua derivazione causale dalla trasfusione, sulla base di mere congetture ed in difetto di indicazioni, prescrizioni e referti medici chiari ed indiscutibili. Il Collegio distrettuale, infatti, avrebbe valorizzato il semplice racconto della ricorrente in sede di anamnesi presso l’Ospedale di Gallipoli del luglio 2007, in occasione del quale aveva dichiarato di essere stata sottoposta, già nel marzo 1998, a sorveglianza biochimica, senza neppure accertare che ella possedesse un livello di conoscenze mediche tali da porla in condizione di ricollegare la malattia diagnosticata alla trasfusione.

Gli Ermellini hanno ritenuto la doglianza manifestamente fondata.

La Corte d’Appello aveva infatti ritenuto ragionevole far risalire al più a marzo 1998 il momento in cui la ricorrente conosceva o comunque avrebbe potuto conoscere la causa della sua malattia sul presupposto che il verbale della Commissione Medica Ospedaliera di Taranto nel paragrafo “Anamnesi patologica specifica” riportasse la circostanza che “da alcuni anni (maggio 1998) era affetta da epatite da virus C con antivirale specifica”. La Corte, tuttavia, aveva allo stesso tempo ammesso che non vi erano in atti documenti risalenti al 1998 dai quali potesse confutarsi quanto riportato nel verbale della Commissione Medica: mancava, pertanto un fatto certo, su cui poter fondare la prova della conoscenza.

A tal proposito la Cassazione ha osservato che “ai fini dell’individuazione dell’exordium praescripitionis, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo prevista dalla 1. n. 210 del 1992, spetta alla controparte dimostrare che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere con l’ordinaria diligenza l’esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione. Tale dimostrazione può avvenire anche per mezzo di presunzioni semplici, purché essa si basi su fatti certi. Orbene detta circostanza non era rinvenibile nel caso in esame.

La redazione giuridica

Se sei stato/a vittima di un errore medico e vuoi ottenere, in breve tempo, il risarcimento dei danni fisici subiti o dei danni da morte di un familiare, clicca qui

Leggi anche:

Epatite cronica per trasfusione di sangue infetto, 200 mila euro agli eredi

Trasfusione di sei sacche di sangue durante il parto: contrae epatite C

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui