In primo grado veniva accertato che l’Ospedale ometteva ogni controllo sul donatore e non informava la paziente dei rischi connessi all’emotrasfusione (Cassazione civile, sez. III, Ordinanza n. 27598 del 2 dicembre 2020)

La paziente ricorre per la cassazione della decisione resa dalla Corte d’Appello di Palermo. Viene dedotto che in occasione del parto veniva sottoposta alla trasfusione di sei sacche di sangue e che tempo dopo le veniva diagnosticata l’infezione da epatite C che il Ministero della Sanità riconosceva essere dipesa dalla trasfusione di sangue.

Onde vedere accertata la responsabilità e ottenere il risarcimento del danno la donna cita a giudizio dinanzi il Tribunale di Palermo l’Azienda Sanitaria di Palermo.

Il Tribunale, con sentenza n. 4270/2010, accoglieva la domanda e condannava l’Azienda Sanitaria a corrispondere all’attrice la somma di euro 186.678,94, e accertava che l’Ospedale ometteva ogni controllo sul donatore e sulla immunità da virus e non informava la donna dei rischi connessi alla trasfusione.

La decisione veniva impugnata dall’Assessorato Regionale alla Salute che eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, risultando, in materia, la responsabilità esclusiva del Ministero della Salute quale ente preposto dalla legge ai controlli sul sangue

La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, accoglieva l’appello, rigettava la domanda risarcitoria della donna e compensava tra le parti le spese di lite.

La Corte territoriale accertava la legittimazione concorrente tra la Ausl e l’Assessorato regionale alla Salute, riteneva che gravasse solo sul Ministero l’obbligo di controllare, di impartire direttive e di vigilare sull’impiego di sangue umano a scopo terapeutico e negava la responsabilità dell’ospedale che rispondeva solo della tracciabilità interna del sangue.

La donna impugna in Cassazione che con ordinanza interlocutoria disponeva la rinnovazione della notificazione del ricorso all’Avvocatura generale dello Stato.

La ricorrente lamenta violazione ed errata applicazione di norme processuali ed invoca il passaggio in giudicato della decisione di primo grado resa nei confronti della Gestione stralcio della Ausl riproponendo l’eccezione di difetto di legittimazione attiva all’appello dell’Assessorato regionale alla salute che la Corte d’Appello aveva disatteso, in considerazione del fatto che le Amministrazioni regionali sono i soggetti giuridici obbligati ad assumere i debiti degli organismi soppressi mediante apposite sezioni stralcio “riconducibili” alle Regioni anche dopo la trasformazione in gestioni liquidatorie, che dall’impianto normativo si desume che la legittimazione sostanziale e processuale concernente i pregressi rapporti delle soppresse USL non spetta in via esclusiva alle gestioni liquidatorie, ma anche alla Regione e che la L.R. n. 5 del 2009 di riordino del servizio sanitario regionale avrebbe dovuto essere interpretata nel senso che, pur in difetto di apposite gestioni stralcio, sussiste ai fini liquidatori la permanente soggettività, in affiancamento di quella delle neo-costituite Aziende Sanitarie provinciali, delle preesistenti Aziende Ospedaliere e AUSL, ferma restando la persistente legittimazione concorrente della Regione.

Lamenta, altresì, che il Tribunale riconosceva la legittimazione passiva della Gestione stralcio, quale centro di imputazione soggettiva della responsabilità contrattuale, controparte del contratto di spedalità e che nel grado di appello l’Assessorato regionale proponeva per la prima volta il difetto di legittimazione passiva della Gestione stralcio, deducendo che l’unico ente deputato ai controlli sul sangue e sul donatore doveva considerarsi il Ministero della salute.

Viene anche eccepito l’omesso esame di un fatto decisivo perchè la Corte d’Appello riteneva non provato che le sacche di sangue provenissero da un centro trasfusionale dell’ospedale, ma l’ospedale nel corso di entrambi i gradi di giudizio contestava di avere omesso qualsiasi controllo e/o verifica sul sangue e sul donatore. Su tale circostanza si sarebbe dunque formato il giudicato.

La Suprema Corte ritiene che la questione sollevata dal primo motivo di ricorso debba essere trattata in pubblica udienza atteso il rilievo nomofilattico.

Al riguardo viene ribadita la legittimazione sostanziale e processuale concorrente delle Gestioni stralcio e della Regione, tuttavia la Regione siciliana non era stata coinvolta nel giudizio di primo grado.

Deve pertanto essere affrontata la questione “se nei confronti dell’Assessorato regionale alla salute si applichi il principio secondo cui la qualità di parte legittimata a proporre o a resistere all’impugnazione si determina per relationem con la qualità di parte assunta formalmente nei gradi e nelle fasi anteriori del giudizio, vieppiù considerando che, d’altra parte, nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (art. 81 c.p.c.), o, se, per converso, in considerazione del fatto che le funzioni di commissari liquidatori esercitate dai Direttori Generali delle ASL venivano svolte nell’interesse e per conto della Regione succeduta ex lege nei rapporti obbligatori delle soppresse USL, all’Assessorato regionale alla salute debba riconoscersi la legittimazione ad impugnare una sentenza resa nel precedente grado di giudizio nei confronti della Gestione Stralcio.”

Per tali ragioni, in conclusione, la Suprema Corte dispone il rinvio della controversia alla Pubblica udienza.

Avv. Emanuela Foligno

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