La caduta di tegole dal tetto di un immobile sito in Acquasanta Terme ha provocato danni ad un edificio limitrofo, nonché ad una vettura parcheggiata in strada.

Entrambi i danneggiati, ossia i proprietari della casa e quello della automobile, hanno agito contro i proprietari dell’immobile, i primi per un danno di circa 500 euro, il secondo per un danno di 1470 euro circa.

Il Giudice di Pace di Ascoli Piceno ha rigettato le due domande ritenendole sfornite di prova. Contro questa decisione ha proposto appello il solo proprietario della vettura danneggiata e il Tribunale di Ascoli Piceno lo ha accolto, riconoscendogli la somma di 1427 euro per i danni subiti dal veicolo.

Il ricorso in Cassazione

La vicenda approda in Cassazione dove viene dedotto che inizialmente, ad agire per i danni, erano due distinti soggetti: il proprietario della casa vicina ed il proprietario della vettura. Queste due cause sono state poi riunite. Ma solo il proprietario della vettura ha fatto poi appello, quello della casa limitrofa no. Secondo la ricorrente, il proprietario della vettura avrebbe dovuto notificare l’appello anche all’altro danneggiato (proprietario della casa limitrofa) in quanto le cause, a seguito della riunione, erano diventate inscindibili.

Il motivo è infondato (Cassazione Civile, sez. III, 05/04/2024, n.9149).

È principio pacifico che “La sentenza del giudice di appello, il quale abbia omesso di disporre la notificazione dell’impugnazione anche ai soggetti per i quali sia ancora possibile l’impugnativa, è suscettibile di essere cassata dalla Corte di cassazione soltanto se, al tempo della decisione di quest’ultima, non siano ancora decorsi i termini per l’appello, non producendo diversamente l’inosservanza dell‘art. 332 c.p.c. alcun effetto“.

Ed ancora, con separata censura viene prospettata violazione dell’articolo 2051 c.c.: secondo la ricorrente il Giudice di merito avrebbe ritenuto responsabile il proprietario della casa, pur non avendo costui la custodia, in quanto mero nudo proprietario, senza curarsi della prova liberatoria.

Responsabile è il proprietario dell’immobile

Il motivo è inammissibile. Intanto lo è perché mira a contestare un giudizio di fatto: che il convenuto non avesse comunque la disponibilità del bene immobile, la sua custodia; ma soprattutto perché il Giudice ha ritenuto la responsabilità del proprietario dell’immobile non già per danni da omessa custodia (2051 c.c.), ma sulla base dell’articolo 2043 c.c.

Infine, sempre secondo la ricorrente, sarebbe stato violato il principio del “più probabile che non” valido anche nel caso delle prove, in quanto il Giudice di merito avrebbe ritenuto attendibili le prove stimando come “non impossibili” le situazioni in esse descritte. Anche questa censura è inammissibile.

La compravendita dell’immobile

Riguardo la compravendita di parte dell’immobile, avvenuta dopo la caduta delle tegole, la ricorrente sostiene – in sintesi – di non essere ella responsabile, bensì la “nuova proprietaria”. La S.C., su questo punto, con durezza afferma “Ognuno vede la stranezza di questo ragionamento”.

La causa ha ad oggetto la responsabilità civile, ossia un credito per i danni, e non già la proprietà o un qualche diritto sull’immobile. È chiaro che l’autore del fatto illecito resta obbligato al danno anche se vende il bene da cui è derivato il danno. Non vi è alcuna “successione” poiché non è controverso un diritto sul bene alienato, diritto che segue quel bene e dunque si trasferisce in capo all’acquirente, ma è controversa una responsabilità civile, ossia una responsabilità da condotta illecita, nella quale non subentra l’acquirente del bene.

Avv. Emanuela Foligno

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