Il farmacista, accusato di lesioni personali colpose per aver somministrato pillole dimagranti senza alcuna visita medica, è stato condannato alla pena di mesi 2 di reclusione e al risarcimento dei danni. La Suprema Corte conferma le sentenze (Cassazione Penale, sez. IV, 14/03/2024, n.10658).

Il caso

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e Corte di Appello di Napoli condannano il farmacista per lesioni personali colpose per avere, nel marzo del 2015, preparato delle pillole dimagranti a una cliente della farmacia.

In quell’occasione non venne fatta alcuna visita medica, né vennero ordinate analisi di laboratorio, né venne stilata la classica dieta con l’indicazione dei pasti e delle relative quantità. Il trattamento dimagrante era costituito unicamente dalla somministrazione di pillole preparate dallo stesso farmacista, la cui confezione costava circa 250 euro. Le pillole dovevano essere assunte prima dei pasti principali (quattro al mattino, quattro prima di pranzo e quattro prima di cena). Tali pillole dimagranti, a detta del farmacista, avrebbero eliminato le calorie introdotte con il cibo ed avrebbero assicurato il dimagrimento a prescindere da ciò che la paziente mangiava.

Sin da subito la donna avvertiva una totale perdita dell’appetito, una continua sete nonché conati di vomito e un senso di spossatezza che limitava notevolmente la qualità di vita al di là del dimagrimento che effettivamente avvenne. Il farmacista veniva informato dalla donna dei disturbi, ma egli riferiva di proseguire con la cura.
Successivamente i sintomi peggioravano in quanto, oltre alla perdita di appetito e alla sete, comparivano anche dissenteria e vomito che si manifestavano anche alla guida. Inoltre era subentrata una paralisi agli arti inferiori che si era poi estesa alle mani e perfino alla testa. In più si erano verificati l’interruzione del ciclo mestruale e la perdita dei capelli che costringevano la donna a ricorrere a una parrucca.

Il 7 luglio 2015 la donna veniva ricoverata alla Clinica Pineta Grande. Il giorno dopo, stante la gravità della situazione veniva trasferita all’Ospedale Cardarelli di Napoli dal quale veniva dimessa solo il 22 luglio.

Il contenuto delle pillole dimagranti

Il Consulente della donna accertava che le pillole vendute dal farmacista contenevano oltre a diuretici e vitamine, efedrina (sostanza solitamente usata per la cura dell’asma ma che nelle diete agisce aumentando il metabolismo cellulare e stimolando la secrezione di catecolamine) e naxeltrone (che è un antagonista degli oppiacei e che riduce l’attività dei centri cerebrali che controllano la sensazione di piacere collegata all’ingestione del cibo ma che è anche fortemente epatotossico e va dunque somministrato solo in caso di assoluta necessità).
Concludeva che si trattava di farmaci off label, cioè utilizzati per scopi diversi da quelli consigliati, senza alcuna valutazione del rapporto tra costi e benefici, senza adeguata valutazione clinica, senza ricetta, al di fuori dei canoni previsti dalla legge 94/98 e del Codice deontologico e peraltro da soggetto che, essendo farmacista, non era neanche abilitato a somministrarli.

Il Giudice di primo grado, previo accertamento della sussistenza del nesso di causalità, ha ritenuto la sussistenza del reato contestato, ritenendo molteplici profili di colpa sia generica che specifica in capo al farmacista. Tale decisione è stata integralmente recepita dalla Corte di Appello.

Il giudizio della Corte di Cassazione

Secondo il farmacista non risulterebbe dimostrata l’assunzione da parte della donna di efedrina, natrexone e bumetanide. Inoltre entrambi i Giudici di merito avrebbero valorizzato solo alcuni aspetti della vicenda trascurandone altri, quali il fatto che l’Ospedale Cardarelli attestò che la donna era affetta da polmonite bilaterale e che la ipokalemia era dovuta alla mancata assunzione di cibo da parte della paziente che aveva scelto di non alimentarsi.

La mancata corrispondenza tra il contenuto delle pillole dimagranti somministrate e quanto riportato sul flacone è una circostanza meramente ipotizzata e priva di ogni riscontro probatorio. Peraltro i farmaci somministrati alla donna erano direttamente preparati e confezionati dall’imputato, risultando del tutto illogica l’ipotesi della mancata corrispondenza tra la composizione delle pasticche e quanto indicato sul contenitore.

Infine, la censura inerente l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, si traduce nella critica alla valutazione della prova consistita nell’esame della persona offesa da parte del Giudice di merito, ciò non è consentito in Cassazione.

Ad ogni modo, il giudizio di penale responsabilità nei riguardi del farmacista è fondato sulle prove dichiarative e sui dati oggettivi introdotti dalle consulenze tecniche disposte nel corso del giudizio.

Conclusivamente il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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