I genitori della bambina convenivano dinanzi al Giudice di Pace di Maida, il Comune di Jacurso, al fine di sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali (biologico, morale ed estetico) sopportati dalla minore per la caduta su un cordolo di bitume.

La dinamica dell’incidente

La bambina percorreva insieme alla sorella maggiore la strada e inciampava su un cordolo di bitume presente sul manto stradale e lì posizionato al fine di deviare l’acqua piovana.

A seguito della caduta, la piccola riportava un vasto ematoma in sede frontale destra, con ferita lacero-contusa in sede sopraccigliare omolaterale, in conseguenza della quale erano stati applicati quattro punti di sutura.

La vicenda giudiziaria

Il Comune contesta la domanda perché il cordolo di bitume in questione era stato realizzato da un privato cittadino abitante nella strada. Inoltre deduceva che la responsabile dell’evento sarebbe della sorella maggiore e dei genitori della bambina che non avrebbero vigilato correttamente sulla stessa.

Il Giudice di Pace condannava il Comune al risarcimento dei danni a favore degli attori liquidato ed al pagamento delle spese processuali e al rimborso di quelle di CTU. Il comune soccombente impugna la decisione.

Il Comune sostiene di non avere realizzato il cordolo di bitume che ha causato l’infortunio alla bambina e che lo stesso era stato realizzato e collocato sulla strada da un privato cittadino e senza alcuna autorizzazione delle competenti autorità. Sostiene, anche, che l’inquadramento della domanda attorea nell’ambito della disposizione di cui art. 2051 c.c. sarebbe stato riconosciuto dal primo Giudice con motivazioni errate ed incoerenti.

Le motivazioni dei giudici di Appello

Il Giudice di appello evidenzia che è nel potere-dovere del Giudice qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire il nomen iuris al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, anche in difformità rispetto alle deduzioni delle parti, con il limite di sostituire l’azione proposta con una diversa, perché fondata su fatti diversi o su una diversa causa petendi, con la conseguente introduzione di un diverso titolo accanto a quello posto a fondamento della domanda, e di un nuovo tema di indagine.

Ebbene, il Giudice di prime cure ha correttamente esaminato i fatti di causa e le prove emergenti dall’istruttoria riconducendo, correttamente, la fattispecie in esame nel paradigma applicativo dell’art. 2051 c.c. (danno da cose in custodia), peraltro invocato alternativamente all’art. 2043 c.c. nell’atto di citazione dagli attori. La responsabilità oggettiva di cui alla prima norma si fonda sulla relazione diretta tra la cosa e l’evento dannoso e sulla esistenza di un effettivo potere fisico del soggetto sulla cosa.

Nel caso di specie, risulta provato che il sinistro de quo è avvenuto nel perimetro urbano, con la concreta possibilità per il Comune di esercitare su quel tratto di strada i propri poteri di vigilanza e controllo e di intervenire tempestivamente per eliminare le situazioni di pericolo derivanti dalla mancata o insufficiente manutenzione del manto stradale.

C’è nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno riportato dalla bambina

Egualmente risulta provata la sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno riportato dalla bambina. Inoltre, risulta provata la presenza del cordolo di bitume, non segnalato e fonte di rischio per la circolazione e per i pedoni. Il Comune convenuto, peraltro, non ha fornito la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c., anche con riferimento alla condotta della minore (art. 1227 c.c.), non risultando provata alcuna violazione da parte della medesima delle normali regole di prudenza nella circolazione stradale.

Per tali ragioni, il Tribunale, in qualità di Giudice di appello, conferma integralmente la sentenza impugnata (Tribunale Lamezia Terme, Sentenza n. 951/2023 pubblicata il 16/11/2023).

Avv. Emanuela Foligno

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