Un oligonucleotide antisenso sarebbe in grado di prevenire, e forse invertire il danno neurologico. Test positivi in USA su topi e scimmie

Arriva da uno studio condotto negli gli Stati Uniti una nuova speranza contro il morbo di Alzheimer. La ricerca, pubblicata sulla rivista ‘Science Translational Medicine’, è incentrata sulla proteina Tau, che contribuisce al normale funzionamento dei neuroni del cervello. La proteina, tuttavia, in alcuni soggetti si raccoglie in grovigli tossici tipici dell’Alzheimer, che danneggiano le cellule cerebrali.
I ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis hanno osservato che i livelli della proteina tau possono essere ridotti – invertendo addirittura alcuni dei danni neurologici provocati dai ‘grovigli’ – da una molecola sintetica che ha come bersaglio le istruzioni genetiche necessarie per produrre la proteina tau. Si tratta, nello specifico, di un oligonucleotide antisenso, che potrebbe trattare le malattie neurodegenerative caratterizzate da anomalie della tau.
“Abbiamo dimostrato – affermano i ricercatori – che questa molecola abbassa i livelli della proteina tau, prevenendo e in alcuni casi invertendo il danno neurologico. Questo composto è il primo ad aver dimostrato di invertire i danni legati al cervello e ad avere anche il potenziale per essere usato nei pazienti”.
Lo studio è stato condotto su topi geneticamente modificati che producono una forma mutante di tau umana, che si accumula facilmente. I ricercatori hanno somministrato una dose di oligonucleotide anti-tau o un placebo a topi di nove mesi ogni giorno per un mese, e hanno poi misurato gli accumuli di proteina nel cervello quando i topi avevano dodici mesi. I risultati mostrano delle importanti riduzioni dei livelli di proteina, suggerendo che il trattamento non solo ha fermato, ma ha anche invertito i danni da accumulo di tau. Gli animali trattati sono vissuti più a lungo degli altri, mostrando migliori capacità cognitive e mnemoniche.
L’esperimento è stato replicato anche su gruppi di scimmie, rilevando importanti benefici. Si tratta di un promettente nuovo approccio, concludono gli autori della ricerca, ma prima di passare alla sperimentazione sull’uomo occorrono ulteriori test.

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